Dic 18

Un manifesto contro la follia neoliberista

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Grazie al Sindaco di Berceto, Lucchi, il mio breve manifesto contro il neoliberismo è stato inoltrato a tutti i sindaci d’Italia. Un fatto straordinario per riuscire ad aprire sempre più le menti, verso la ragione unica della crisi.

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La crisi economica non accenna a finire, è giunta dunque l’ora che le Istituzioni comprendano quali sono le sue ragioni, altrimenti sarà impossibile risolvere questo drammatico problema.

L’analisi non può essere infarcita da ideologie o dogmi, ma deve guardare in faccia la realtà e per la comprensione della stessa nulla ci aiuta di più che studiare la genesi della nostra Costituzione.
La nostra Carta fissa i suoi principi fondamentali e poi elabora un modello economico e sociale idoneo a rendere effettivi tali principi e così raggiungere gli obiettivi su cui si fonda la Repubblica, in primis quello di garantire il diritto al lavoro in senso ampio, quale massima espressione della dignità umana.

Gli articoli della parte economica della Costituzione, ovvero quelli che vanno dal 35 al 47, tracciano una rotta che oggi è stata completamente tradita, tale tradimento è la causa unica della situazione che viviamo. In sostanza la crisi economica dipende da un perdurante fatto illecito che si consuma ormai da alcune decadi.

L’iniziativa privata era certamente riconosciuta dai nostri Padri Costituenti, come era riconosciuto il diritto di proprietà, ma entrambi avevano limiti. L’iniziativa privata, se si vuole rispettare la Costituzione e garantire il maggior benessere possibile, non può infatti svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana (art. 41 Cost.). La proprietà può essere in particolare limitata allo scopo di divenire accessibile a tutti e per assicurarne la sua funzione sociale.

I Padri Costituenti in sostanza mettevano al bando il capitalismo privo di controlli democratici e di limiti, ovvero era bandito il super capitalismo, era dunque bandito proprio il modello che oggi impera nel mondo e che ha trovato addirittura in Europa una vera e propria codificazione all’interno dei Trattati Europei. Oggi siamo davanti ad un liberismo ordinamentale, ovvero all’ordo-liberismo.

Se si esamina compiutamente il ragionamento che portò i nostri Padri Fondatori a disciplinare questo modello economico si comprende benissimo che si riconosce nell’egoismo un motore di sviluppo, ma si comprende anche che se esso non viene limitato, la società ne viene interamente travolta.

Gustavo Ghidini, deputato dell’Assemblea Costituente, ci ricordava già nel 1947 che:

“Se si lascia libero sfogo alla legge della libera concorrenza e alla libera iniziativa animata solo dal fine del profitto personale, si arriva pur sempre al super capitalismo e così a quelle conseguenze (omissis…) fra le quali primeggia la guerra tremenda che fu la rovina di tanti popoli (omissis…).

Ci sono limiti, perché non si vuole che si formino delle grandi concentrazioni di proprietà che sottraggono all’iniziativa privata grandi strati di produttori e costituiscono a un tempo delle potenze economiche tali che, se anche potessero condurre ad un grado di produttività più elevato, portano altresì a quella potenza politica che, non avendo altro intento che il vantaggio patrimoniale privato, disconosce e travolge gli interessi materiali, morali e politici della collettività scatenando quelle conflagrazioni che ci hanno portato alla miseria attuale.
Noi invece vogliamo che la proprietà si conformi alla sua funzione sociale”.

Un brivido scuote quando si prende atto che, per i Costituenti, la seconda guerra mondiale fu la conseguenza del super capitalismo, proprio di quello stesso super capitalismo che domina anche i nostri tempi e che, se non fermato, anche nella sua evoluzione ordinamentale, porterà alle stesse identiche conseguenze.

Altrettanto degne di menzione le parole di Giorgio La Pira che, sempre durante l’Assemblea Costituente, invitata a cercare una terza via in economia, stante il fallimento, già acclarato settant’anni fa, del liberismo:

“l’attuale situazione di fatto, nella quale esistono larghe crisi periodiche di disoccupazione mentre non è attuata una effettiva e consapevole partecipazione della massa lavoratrice al meccanismo produttivo, sorge il problema: l’ordinamento economico liberale, che ha creato questi due fatti, ha una virtù interna tale da poterli superare? La risposta non può essere che negativa.

Di qui la domanda: qual è lo strumento economico nuovo e quindi la nuova struttura economica capace di superare questi due fatti? Respinto l’ordinamento liberale, occorre creare una struttura economica nuova, la quale realizzi quella dignità della persona umana sulla quale tutti sono d’accordo”.

Ed ancora Aldo Moro:

“è effettivamente insostenibile la concezione liberale in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell’ordinamento più completo dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore benessere possibile. Quando si dice controllo della economia, non si intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche, ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le coordina, le disciplina e le orienta”.

Oggi l’Unione Europea, ben lontana dall’essere quel sogno di pace e fratellanza di cui ci avevano parlato, è un’insieme di norme giuridiche che vieta allo Stato di fare ciò che i nostri Padri fondatori desideravano, alla luce delle tragedie che avevano vissuto.

L’Unione vieta il controllo, la disciplina ed il coordinamento dello Stato nell’economia, anzi si pone in condizione di eliminare lo Stato stesso, impedendogli addirittura di detenere una delle sue prerogative fondanti, la sovranità monetaria: il potere di creare moneta dal nulla e di imporre tale moneta come mezzo di pagamento sul proprio territorio.
La Banca Centrale europea ha l’incredibile divieto di creare moneta per gli Stati, potendolo fare solo in favore dei mercati finanziari, non è una prestatrice illimitata di ultima istanza. In sostanza siamo in presenza del massimo liberismo possibile dove lo Stato viene retrocesso al livello di qualsivoglia soggetto di diritto privato, e come ogni soggetto privato può fallire per ragioni di diritto commerciale.

Senza una Banca Centrale lo Stato non controlla l’economia, ma subisce inerme qualsivoglia attacco speculativo sia gradito ai grandi detentori di capitale, tradendo l’opposto disposto costituzionale che invece impone che la Repubblica debba disciplinare, coordinare e controllare il credito (art. 47 Cost.).

Con i vincoli di bilancio, si pensi al noto tetto del deficit, abbiamo poi trasformato la società in quella che Keynes chiamava “la parodia dell’incubo di un contabile”.
Ricordava l’economista in “Autarchia Economica” del 1933 che già nel secolo XIX, proprio come avviene oggi:

“tutta la condotta della vita era stata ridotta a una specie di parodia dell’incubo di un contabile. Invece di usare le loro moltiplicate riserve materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, gli uomini dell’ottocento costruirono dei sobborghi di catapecchie; ed erano d’opinione che fosse giusto ed opportuno di costruire delle catapecchie perché le catapecchie, alla prova dell’iniziativa privata, «rendevano», mentre la città delle meraviglie, pensavano, sarebbe stata una folle stravaganza che, per esprimerci nell’idioma imbecille della moda finanziaria, avrebbe «ipotecato il futuro», sebbene non si riesca a vedere, a meno che non si abbia la mente obnubilata da false analogie tratte da una inapplicabile contabilità, come la costruzione oggi di opere grandiose e magnifiche possa impoverire il futuro”.

Uno Stato, al crescere dell’economia, avrà anche la necessità di immettere nel sistema una sempre maggiore quantità di moneta, che consenta ai cittadini sia di risparmiare che di continuare a scambiare beni e servizi.

Se lo Stato si priva della possibilità giuridica di fare politiche espansive, sarà l’intera economia che non potrà più espandersi.

Se lo Stato si indebita poi in una moneta che non può emettere, ovviamente potrà, esattamente come avviene oggi, trovarsi nella situazione di non poter onorare i suoi debiti, sarà obbligato a recuperare i soldi necessari dalle tasche dei cittadini, impoverendoli.

La messa al bando delle politiche espansive, dietro il dogma “imbecille” dell’aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità, ha una precisa valenza politica e sociale. Consente a quei pochissimi privati che detengono grandi strati di proprietà e capitali, di smantellare pezzo dopo pezzo tutto ciò che è pubblico, appropriandosi di ulteriori beni, di ulteriore ricchezza, ed in definitiva di ulteriore potere.

Se si gioca a Monopoli, perfetto esempio di applicazione teorica neoliberista, le ricchezze e le proprietà, in assenza dell’intervento redistributivo dello Stato, finiscono tutte in mano ad un solo giocatore, tutti gli altri perdono tutto.

Ma nella vita reale chi perde tutto si trova senza più alcuna dignità e talvolta arriva addirittura a togliersi la vita, al contrario chi detiene ogni ricchezza si trasforma in un potere politico in grado di travolgere, come ricordava appunto Ghidini, diritti e democrazia.

Così i Parlamenti, come denunciato anche di recente dal Ministro della Giustizia in carica Orlando, vengono svuotati dei loro poteri e messi di fronte a fatti compiuti che si determinano in ambito sovranazionale. Ecco come il Ministro spiegò l’inserimento del pareggio in bilancio in Costituzione, come un ricatto dei mercati finanziari e della Banca Centrale Europea che ne tutela gli interessi.

Così si dice anche addio alla sovranità, che apparterrebbe al popolo e non certo al capitalista più influente.
A questo punto è necessario porre fine a questa drammatica situazione ponendo in essere i seguenti provvedimenti con effetto immediato:

1. ripristino della sovranità monetaria ed economica dello Stato;

2. abbandono delle politiche di austerità ed immissione, attraverso la spesa pubblica in deficit, da finanziarsi attraverso una Banca Centrale controllata dallo Stato, o anche attraverso la Zecca, della moneta necessaria a far ripartire la domanda di beni o servizi oggi distrutta dalle politiche dissennate di austerità;

3. piena occupazione quale obiettivo delle politiche monetarie dello Stato, abbandono del dogma della stabilità dei prezzi imposto dall’UE;

4. applicazione del diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a se ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa, fine delle politiche di deflazione salariale;

5. ripristino della funzione sociale della proprietà limitando gli accentramenti eccessivi della stessa e redistribuendo tra la popolazione le relative ricchezze, misura che dovrà riguardare i grandi gruppi di capitale nazionale ed internazionale che dovranno essere nuovamente sottoposti a regole in funzione dell’interesse pubblico, proprio al fine di raggiungere il maggior benessere possibile ed impedire che il potere economico diventi nuovamente un potere politico;

6. divieto delle iniziative private in contrasto con l’interesse pubblico e pieno potere del Parlamento di coordinare, disciplinare e controllare l’economia secondo la volontà dei rappresentanti del popolo.

In parole povere dunque ciò che va fatto è unicamente applicare alla lettera la Costituzione del 1948 e tornare a rispettare il modello economico sociale in essa contenuto. I mercati non possono nulla contro uno Stato, l’attuale nostra sottomissione ad essi è solo dovuta alla mancanza della sovranità. Se lo Stato tornerà nel possesso dei suoi elementi fondanti, tra cui appunto la sovranità, i mercati non potranno più porre in essere alcun tipo di ricatto e, esattamente come volevano i Padri Costituenti, la sovranità del popolo italiano tornerà ad essere incondizionata ed incondizionabile sul nostro territtorio fermando l’eversione dell’ordinamento democratico in corso.

Immaginiamo il futuro, immaginiamo uno Stato che torni ad essere semplicemente normale, facendo solo ciò che la Costituzione già prevede.

Avv. Marco Mori – Riscossa Italia, autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile on line su ibs.