Giu 05

Conte al Senato: “più Europa”.

Sul discorso del nuovo Presidente del Consiglio si può pensare ciò che si vuole sulle singole misure promesse, che sono chiaramente quelle già viste nel programma. Alcune sono idealmente condivisibili, come ad esempio il rinnovato impegno al sociale, altre meno o molto meno.

Ma è solo sull’Europa che si può davvero misurare il “sovranismo” del governo giallo verde, che è poi ciò che principalmente mi interessa. Un sovranista infatti è solo colui che rivendica l’indipendenza dell’Italia e il pieno esercizio del potere d’imperio dello Stato, senza vincoli esterni di qualsivoglia natura, per poter attuare il modello socio-economico costituzionale.

Ebbene da questo punto di vista il discorso del Presidente è stato deludente oltre ogni immaginazione. Non diverso da quanto già detto dai suoi predecessori. L’Europa è stata messa espressamente al centro confermando non solo le cessioni di sovranità già esistenti, ma aprendo anche ad ulteriori passi avanti nel processo d’integrazione, che per definizione significa cedere ulteriore sovranità. In ottica sovranista non importa certamente se l’UE che immagina Conte sia di ispirazione keynesiana e metta da parte l’austerità. Certo questo sarebbe un passo molto importante per la popolazione, ma non rappresenta in alcun modo il riscatto della nostra indipendenza. Così restiamo sudditi e rimarremo prigionieri dei capricci del sovrano di turno, sovrano che sarà sempre identificabile nella banca centrale indipendente. Insomma chi crea moneta dal nulla, governa.

Peraltro Conte ha ribadito anche la necessità di ridurre il debito, concetto privo di senso in presenza di sovranità monetaria. Inoltre anche al Senato, dunque in una sede dove certamente servirebbe un maggior tecnicismo, non ha specificato se la riduzione debba intendersi in valori assoluti (che significherebbe ancora avanzo primario ed austerità) o in rapporto al PIL. In tale seconda ipotesi la riduzione del debito passerebbe dalla crescita che però è possibile solo facendo deficit, cosa che, come sappiamo, i trattati vietano.

Sull’UE testualmente Conte ha affermato: “L’eliminazione del divario di crescita tra l’Italia e l’Unione Europea è un nostro obiettivo che dovrà essere perseguito in un quadro di stabilità finanziaria e di fiducia dei mercati ed ancora “La politica fiscale e di spesa pubblica dovrà essere orientata al perseguimento degli obiettivi richiamati di crescita stabile e sostenibile. In Europa verranno portati con forza questi temi per un adeguamento della sua governance, un adeguamento già al centro della riflessione e della discussione di tutti i paesi membri dell’Unione. Siamo moderatamente ottimisti sul risultato di queste riflessioni e fiduciosi della nostra forza negoziale, perché siamo di fronte ad una situazione in cui gli interessi dell’Italia in questa fase della costruzione europea, vengono a coincidere con gli interessi generali dell’Europa e con l’obiettivo di prevenire un suo eventuale declino. L’Europa è la nostra casa, è la casa di tutti noi. Quale Paese fondatore abbiamo il pieno titolo di rivendicare un’Europa più forte e anche più equa, nella quale l’Unione economica e monetaria sia orientata a tutelare i bisogni dei cittadini”.

Orbene uno Stato esiste se è nel possesso dei suoi elementi essenziali di popolo, territorio e appunto potere d’imperio del popolo sul territorio stesso. L’Italia non è oggi uno Stato e, stando alle parole del Presidente, non è in programma neppure che lo ritorni ad essere nel corso di questa legislatura, con buona pace della definitività della forma Repubblicana sancita dall’art. 139 Cost. Certo si vuole svoltare, modificare le regole dell’euro, ma sempre a sovranità ceduta.

La nostra battaglia sovranista non era questa, non era cambiare l’Europa ed avallare la cessione del nostro potere d’imperio. La battaglia era per riscattarlo senza condizioni, per riportare la democrazia davanti all’economia. Prendiamo quindi atto che questo governo, che potrà anche essere di “cambiamento”, non è certamente un governo sovranista, ma un governo che punta a quello che è il cosiddetto piano A, ovvero “gli Stati Uniti d’Europa”.

Solo se qualcosa andasse storto in questo processo di maggiore integrazione dunque si potrebbe sperare in un ritorno alla sovranità nazionale, ma con buona pace di Borghi e Bagnai, ed anche grazie alla loro incapacità di mantenere posizioni nette ed immutabili su euro ed UE, tale percorso non dipenderà da noi. Lega e Cinque Stelle hanno disattivato il dissenso sovranista e posto l’Italia, ancora una volta, in mera balia degli eventi. Non siamo padroni del nostro destino e già questo è una grave sconfitta.

Grazie di cuore a tutti questi sovranisti che, in cambio della carota della fine dell’austerità, hanno idealmente tradito la nostra comune battaglia. Da parte mia sono fiero di avervi da tempo mandato a quel Paese, anzi con i diretti interessati sono stato ben più duro.

La minima residua speranza è che, nell’ipotesi di un no alla riforma della zona euro, il governo non si pieghi emulando quando già visto in Grecia. Ma il punto è, perché dovrebbero dire di no? I vincoli di bilancio erano solo un mezzo per arrivare ad un fine, uno strumento di costrizione delle volontà popolari. Se ora siamo alla svolta nel processo di integrazione europea è del tutto coerente che debbano sparire.

Avv. Marco Mori, Casa Pound Italia – autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea”.