Dic 03

Il cambiamento che non c’è.

Dopo il periodo di stop alle pubblicazioni sul sito a causa dell’impegno con la stesura del mio nuovo libro “La morte della Repubblica, gli Stati Uniti d’Europa” (Altaforte Edizioni), eccomi nuovamente a scrivere sui fatti di più stretta attualità.
E di fatti in questi mesi ne avete visti accadere molti e purtroppo tutti negativi, nella direzione che avevo ampiamente preannunciato. La mia posizione è radicalmente contraria al governo, questo non è un mistero. Tantomeno sono un mistero le ragioni di tale contrarietà. All’inizio non erano comprese dalle masse che speravano di essere vicine alla svolta, oggi invece in tanti stanno cominciando ad intraprendere un percorso di risveglio intellettuale e davvero non conto più i messaggi di scuse che ricevo.
Le mie previsioni erano di facile realizzazione poiché, abbandonata la posizione di uscita unilaterale dall’euro, non c’erano speranze che l’esecutivo giallo-verde potesse condurci fuori dalla crisi economica che anzi si sta inasprendo. Come dico sempre il riscatto della sovranità, compresa quella monetaria, è una precondizione ad ogni azione politica di risanamento della nostra economia. Il PIL è tornato per la prima volta in terreno negativo (-0,1%) e da parte del governo non ci sono risposte di sorta.
La manovra licenziata in un primo momento, malgrado il basso gradimento sui mercati, sarebbe stata comunque insufficiente a determinare una ripresa nel Paese. Portare il deficit al 2,4% significava in realtà fare comunque una delle manovre più recessive degli ultimi tempi. Inoltre la manovra già recessiva sta addirittura peggiorando nelle ultime ore: le dichiarazioni di Tria di stamani parlano di un nuovo limite al deficit al 1,9/2%.
A questo punto devo chiarirvi un concetto fondamentale: il rapporto deficit/pil non tiene conto del costo degli interessi passivi sui titoli di Stato.  L’Italia ha pagato nel 2017 circa il 3,7% del PIL in interessi passivi e per il 2018 il dato definitivo sarà, a causa dell’incremento dei costi di finanziamento, superiore. Supponendo un 4% (e forse è ottimistico) avremmo questo risultato: 2% – 4%= -2%.
Dunque un’economia già in ginocchio vedrà l’Italia drenare ancora un 2% di PIL dalle nostre tasche, la monovra è in avanzo primario, ad un livello di avanzo da renderla decisamente più austera di quelle dei predecessori. Neppure Monti era mai arrivato a tanto. In termini monetari significa drenare più di 35 miliardi dalle tasche degli italiani. Salvini e Di Maio vi dicono che non è questione di decimali? Vi prendono esclusivamente e deliberatamente per i fondelli, ai decimali corrispondono miliardi di euro. Dietro i decimali ci sono milioni di italiani che vivono povertà e miseria e tra essi gente che ogni giorno molla, decidendo di togliersi la vita.
Insomma è un fatto numerico assolutamente incontestabile che si vada verso un inasprimento considerevole dell’austerità. Un vero e proprio atto criminale contro un Paese già allo stremo, in ogni suo settore. Peraltro se il governo aveva intenzione di massacrarci ulteriormente tanto valeva farlo da subito e di comune accordo con Bruxelles, almeno si sarebbe ridotto l’effetto negativo (dentro l’euro) sui conti pubblici causato dell’incremento dello spread. Pare che abbiano voluto solamente crearsi consenso politico, con la farsa di uno scontro con Bruxelles, ma che tale consenso sia stato ottenuto totalmente a nostre spese. Un consenso che a breve cercheranno di indirizzare verso gli Stati Uniti d’Europa, come ho compiutamente spiegato nel mio nuovo libro. E non sarà una terza via, ma l’alba della vittoria definitiva della finanza, in particolare americana, nel nostro continente.
Vale la pena spiegarvi che la giustificazione di Bruxelles affinché l’Italia faccia una manovra abbondantemente al di sotto del 3% del rapporto deficit/pil previsto nei trattati è ovviamente legata al fatto che esiste anche un altro parametro da rispettare in base ai trattati stessi, quello del 60% debito/pil. Per far calare il debito, secondo Bruxelles, occorre fare un deficit più contenuto, continuando a millantare un effetto moltiplicatore della spesa pubblica sul pil al di sotto di ogni logica elementare.
Trattatasi di una fandonia macroeconomica perché è chiaro che in realtà, per ridurre il rapporto debito pil al 60%, occorrerebbe, casomai, fare ben più del 3% annuo di deficit. In sostanza se si vuole ridurre il debito in proporzione al pil occorre che il pil salga più del debito stesso. Visto che la spesa pubblica è pil, per far salire tale variabile più di quanto aumenta la spesa, così riducendo il rapporto debito/pil, occorre in particolare pagare stipendi più alti ad un numero di dipendenti pubblici maggiore. Non esiste investimento che possa spingere l’economia quanto la corresponsione di stipendi. 
Volete una vera manovra espansiva? Assumiamo i 6 milioni di disoccupati esistenti nel settore pubblico e vedrete che ad un deficit in doppia cifra, corrisponderà un decremento considerevole del rapporto debito/pil. Con un rapporto che sarà certamente superiore ad un euro e mezzo di pil in più per ogni euro di stipendi pubblici erogati in misura maggiore rispetto al livello attuale. Ovvero, per fare un esempio, a fronte di uno stipendio da 1500 euro il PIL salirà almeno di 2500, perché il cittadino spenderà in media almeno 1000 dei 1500 euro ricevuti. Chiaro?
Il governo, che si vanta di avere i massimi esperti economici in circolazione (lo sarebbero forse, ma si sono venduti ai rispettivi partiti di appartenenza perdendo indipendenza), non è neppure capace di replicare a Bruxelles che per ridurre il rapporto debito pil è necessario fare deficit ben oltre il 10%. Un concetto banale, dimostrabile con quattro conti della serva. Ma evidentemente i giallo verdi al momento i conti li sanno fare solo sui propri stipendi. La proposta poi più assurda che hanno avanzato è quella di passare all’assistenzialismo del reddito di cittadinanza, certamente utile per evitare rivolte, ma folle dal punto di vista economico, specie nelle attuali regole monetarie che il governo non vuole contestare. Le spese assistenziali infatti non sono conteggiate nel PIL, ergo il moltiplicatore di queste ultime è molto più basso di quello che si otterrebbe pagando stipendi a chi deve poi fare tutte quelle cose di cui c’è disperato bisogno in una società in cui ormai manca tutto.
Il cambiamento non esiste, facciamocene una ragione… E per favore da maggio iniziamo a svegliarci, votiamo solo partiti radicali, che pongono l’italexit come precondizione ad ogni azione politica.
Avv. Marco Mori, CasaPound Italia – autore de “La morte della Repubblica”, disponibile anche on line in tutte le piattaforme più conosciute.