Giu 18

Ancora sull’incostituzionalità delle imposte sulla casa.

 

Le imposte sulla casa si pongono in evidente contrasto con alcune norme della nostra Costituzione, esaminiamole più approfonditamente rispetto a quanto già fatto in precedenti articoli.

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Violazione Art. 42 Cost.: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Il tenore letterale della norma è chiaro. Non solo la proprietà privata è riconosciuta ma è compito della Repubblica quello di renderla accessibile a tutti i cittadini.

Tassare una proprietà è ovviamente un comportamento in antitesi con la predetta accessibilità.

La casa è un bene indispensabile che viene faticosamente pagato da qualsivoglia cittadino con i frutti del proprio risparmio. Dunque con denaro già soggetto a tassazione diretta ed accumulato con sacrifici importanti che spesso si abbinano anche con la stipula di contratti di mutuo con banche private e dunque con la contrazione di ingenti debiti.

Viene dunque spontaneo chiedersi che cosa faccia ad oggi lo Stato per rendere la proprietà della casa accessibile a tutti.

La realtà è sotto gli occhi di chiunque: lo Stato non fa assolutamente nulla per rispettare il dettato dell’art. 42 Cost. e dunque rendere la proprietà della prima casa accessibile ad ogni cittadino. Addirittura lo Stato fa molto di peggio ostacola e scoraggia l’acquisto della proprietà di un bene immobile con ogni mezzo.

Ogni italiano oggi è consapevole che acquistare una casa comporta un carico fiscale spaventoso e ciò a partire dallo stesso momento dell’acquisto, ove si ha addirittura l’obbligo di sobbarcarsi gravose ed altrettanto dubbie, sotto il profilo costituzionale, imposte di registro ed ipotecarie.

L’imposizione fiscale sulla casa è tale che la stessa non può neppure essere ancora considerata un valido bene rifugio per il risparmio degli italiani visto che il prezzo degli immobili sta rapidamente crollando.

La casa è diventata per lo Stato il modo migliore per sottrarre ingenti somme ai cittadini. Non si tassano dunque in via prevalente le banche che ottengono ingenti profitti dall’erogazione di mutui, anche per quelli contratti per l’acquisto della prima casa, ma si tassano direttamente i proprietari che in realtà non sono che debitori, spesso per periodi ultraventennali, delle stesse banche.

Inutile sottolineare che la capacità contributiva di un qualsivoglia istituto bancario è certamente maggiore di quella del cittadino che si è indebitato per la vita con detto istituto per l’acquisto di un bene essenziale alla sua stessa sopravvivenza.

Insomma comprare una casa è il miglior modo, grazie alle politiche illegittime del Governo, per impoverirsi e ciò con buona pace dell’art. 42 Cost. Nella sostanza, dati gli ingenti importi che sono chiamati a versare i cittadini, si potrebbe parlare di vero e proprio esproprio del diritto di proprietà della casa sostituito di fatto con un mero diritto di superficie.  

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Violazione art. 47 cost.: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”.

Anche il citato precetto costituzionale confligge con chiarezza con l’attuale sistema fiscale che colpisce la casa, ovvero il bene che, senza tema di smentita, può essere definito il rifugio per eccellenza del risparmio degli Italiani.

Tutelare il risparmio in tutte le sue forme impone certamente alla Repubblica di fornire la predetta tutela anche quando detto risparmio si è accumulato sotto forma di bene immobile.

Le imposte sulla casa dunque finiscono per erodere progressivamente il risparmio determinando un effetto ulteriore di cui si è già detto, ovvero il crollo dei prezzi degli stessi immobili.

Il mercato immobiliare dall’avvento del Governo Monti in poi è stato letteralmente ma inesorabilmente distrutto e la responsabilità di detta distruzione è a pieno titolo da porsi a carico delle illegittime politiche attuate.

Davvero non serve essere dei fini giuristi per comprendere la manifesta incostituzionalità di qualsivoglia imposta sulla casa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 47 Cost.

La tutela del risparmio fu oggetto di ampio dibattito anche in seno all’Assemblea Costituente ed ovviamente detta tutela fu direttamente ed inscindibilmente connessa alla casa.

In particolare il 7 maggio 1947 fu proposto in seno alla Costituente addirittura la seguente formulazione dell’art. 47 Cost.: “La Repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme e favorisce l’accesso del risparmio popolare all’investimento reale promuovendo la diffusione della proprietà dell’abitazione.

Si auspicava fortemente dunque la diffusione della proprietà dell’abitazione che doveva essere incentivata con decisione dallo Stato anche per proteggere i cittadini da forme di svalutazione degli stessi risparmi.

Alla fine si scelse la seguente formulazione dell’art. 47 Cost. “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”. La ragione di tale scelta non era quella di escludere la casa dal novero del risparmio tutelato ma, al contrario, quella di lasciare aperta la fattispecie fino al punto di tutelare ogni forma di risparmio possibile. 

Ciò è peraltro confermato dal secondo comma dell’attuale formulazione dell’art. 47 Cost. dove il diritto alla casa si conferma prepotentemente dato che ivi è disposto a carico della Repubblica l’obbligo di favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione.

I padri costituenti dunque vollero davvero tutelare il risparmio in tutte le sue forme. Oggi è drammatico constatare che i nuovi governi non sono minimamente all’altezza di affrontare dibattiti compiuti su tali livelli giuridici ed economici, limitandosi ad agire come meri esecutori degli interessi della finanza che, pezzo dopo pezzo, si produce in una decisa campagna di rottamazione dei diritti costituzionali dei cittadini.

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Violazione art. 53 Cost.: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Trattasi del cd. principio della capacità contributiva.

Allorquando si parla di tasse ed imposte la norma fondamentale da cui partire è certamente l’art. 53 Cost. Questa è la norma che più di tutte è stata violata durante la storia della nostra Repubblica e ciò sulla base della falsa rappresentazione di una ragione di Stato che avrebbe imposto di ometterne il rispetto.

Occorre esaminare i lavori dell’Assemblea Costituente al fine di comprendere profondamente detto articolo onde evidenziarne appieno la portata normativa.

Il 23 maggio 1947 si proseguiva nell’esame degli emendamenti relativi al titolo IV del progetto di Costituzione.

In particolare si dibatteva proprio l’annoso tema della proporzionalità in materia fiscale.

Durante tale assemblea l’On. Salvatore Scoca, noto giurista e vero promotore della proporzionalità fiscale, poneva all’attenzione degli illustri Colleghi il seguente concetto che ivi si trascrive: “Se pensiamo, infatti, che la massima parte del gettito della imposta diretta è dato ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni, sui fabbricati e sulla ricchezza mobile, che sono a base oggettiva o reale e ad aliquota costante, mentre comparativamente assai scarso è il gettito della complementare sul reddito globale, che è a base personale ed aliquota progressiva, abbiamo la riprova più convincente che lo stesso sistema delle imposte dirette si impernia sulla proporzionalità”.

Ed ancora: “Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria.

Tale ragionamento è certamente banale ed intuitivo eppure in oggi è completamente dimenticato dagli esponenti degli ultimi governi i quali, bene ribadirlo, avevano giurato di difendere e rispettare la Costituzione e non già di violentarla.

Ma torniamo all’On. Scoca.

Ancora nella seduta della Costituente, affermava che: La regola della progressività deve essere effettivamente operante; e perciò nella primitiva formulazione dell’articolo aggiuntivo da me proposto avevo detto che il concorso di tutti alle spese pubbliche deve avvenire in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività”.

Il livello del ragionamento giuridico del 1947 era dunque anni luce superiore a quello attuale.

Si aveva ben chiara la manifesta ingiustizia sociale di imposte sui consumi scorrelate da ogni principio di capacità contributiva.

Imposte che finiscono inevitabilmente per gravare sulle classi più deboli della società. Ciò vale dunque non solo rispetto a quanto oggetto del presente elaborato ma anche in riferimento ad altre ed altrettanto inique imposte, quali la stessa IVA, inopinatamente aumentata nella sua aliquota dagli ultimi governi con effetti catastrofici sui consumi e sullo stesso gettito fiscale che è ovviamente calato.

Ma torniamo all’Assemblea Costituente.

L’On. Scoca proseguiva illustrando ai Colleghi della Costituente un concetto ancora oggi di estrema attualità: “Da un punto di vista scientifico (se di scientifico c’è qualcosa nella materia finanziaria, o nella scienza delle finanze) si può dimostrare, come è stato dimostrato, che, pur partendo da uno stesso principio, è possibile giungere sia alla regola della proporzionalità che a quella di progressività”.

Peraltro era già ben noto allora che il principio della progressione deve avere qualche forma di limitazione in quanto non si addice alle imposte indirette reali e può trovare solo inadeguata ed indiretta applicazione nelle imposte sui consumi e nelle imposte indirette in generale.

Tuttavia secondo i padri fondatori e lo stesso On. Scoca in particolare “Resta tuttavia fermo che il sistema tributario nel complesso deve essere informato al principio di progressività”.

Dunque, con le ovvie eccezioni del caso, il sistema che era stato concepito nel 1947 ed attuato con la formulazione dell’art. 53 Cost. non rispecchia minimamente le attuali scelte legislative che si pongono in evidente e totale contrasto con esso.

In particolare il semplice esame dei bilanci dello Stato (ad esempio quello di competenza 2013) rende chiarissimo un dato.

Le imposte indirette, quelle non progressive, portano un gettito sostanzialmente analogo a quello delle imposte progressive. Dunque l’intero sistema è incompatibile con il dato Costituzionale anche con l’eccezione meno fiscale che già si enunciava nel 1947.

Nel 1947 sempre l’On. Scoca infatti affermava: “Lasciandosi guidare da un sano realismo, non si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa a principi di democrazia e solidarietà sociale, debba dare preferenza al principio della progressività.

Ed ancora con un conteggio approssimativo ma che rende benissimo l’idea circa il tema che stiamo affrontando: Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base allastessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. E’ ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente supporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo.

Oggi ci si sente liberi di legiferare ignorando completamente i principi fondamentali dello Stato finendo per colpire scientemente le classi più deboli della società con il riflesso di paralizzare completamente i consumi.

Sempre in sede di Assemblea Costituente l’On. Meuccio Ruini ben specificò i paletti per il Legislatore in materia tributaria ovvero specificò in quali casi è possibile dare corso ad un’imposizione fiscale non retta dal principio di progressività: non tutti i tributi diretti possono essere applicati con criterio di progressività. D’altra parte, se ai singoli tributi indiretti non si addice il metodo della progressività, si può e si deve tener presente complessivamente tale criterio, gravando la mano sui consumi non necessari e di lusso.

Questa è l’interpretazione autentica tratta dai lavori dell’Assemblea Costituente. La possibilità di applicare le pur necessarie imposte indirette deve essere dunque limitata ai beni non necessari ed a quelli di lusso.

L’imposta sulla prima casa, pertanto, è illegittima sotto il profilo costituzionale non essendo ovviamente un’imposta che colpisce un bene di lusso o un bene non necessario.

Se vogliamo la stessa IVA sui beni indispensabili e necessari esce “con le ossa come minimo rotte” dalla piana lettura dei lavori dell’Assemblea Costituente.

I padri costituenti sarebbero dunque inorriditi dalla deriva presa dagli ultimi governi che si sono dimostrati attenti unicamente agli interessi finanziari in spregio ai principi fondamentali caricando sforzi economici insostenibili sulle classi più deboli.

Se si pensa che oggi l’UE chiede proprio ai singoli Stati di spostare la tassazione dai redditi ai consumi ben si comprende quanto sia basso il livello di preparazione economica e giuridica (o di quanto sia alto il livello di malafede?) di chi oggi si eleva all’ambizione di guidare il mondo in un più luminoso futuro.

Chi in Europa si riempie la bocca su certi temi dovrebbe armarsi di umiltà e tornare a studiare in quanto manifestamente non all’altezza del compito che pensa di poter svolgere.

Paragonare la preparazione sociale, economica e giuridica dei padri Costituenti italiani della fine degli anni 40′ a quella dei tecnocrati di Bruxelles è un po’ come paragonare un quadro di Da Vinci ai primi scarabocchi di un bimbo di due anni.