Gen 28

La Corte d’Appello di Genova ha deciso: “la sovranità può essere ceduta, l’adesione dell’Italia all’Unione Europea è legittima””.

Siamo così arrivati all’epilogo del secondo grado di giudizio nella causa che da anni sto portando avanti per cercare di ottenere ciò che dovrebbe essere a mio avviso ovvio: una pronuncia che affermi con nettezza che la sovranità non poteva essere ceduta e che l’adesione dell’Italia ai Trattati UE è illegittima.

In primo grado la domanda era stata respinta, l’appello ha avuto la stessa sorte. La sentenza che ho trascritto sotto integralmente è comunque estremamente interessante poiché entra nel merito della questione, ovvero esamina se la cessione della sovranità, tra cui quella monetaria, fosse o meno legittima dal punto di vista costituzionale. Trattasi del primo precedente giurisprudenziale in materia.

La Corte invocando l’art. 11 Cost. ha deciso per la legittimità della ratifica dei trattati europei da parte dell’Italia, finendo con il considerare sinonimi i termini di cessione e limitazione e omettendo di prendere posizione radicalmente sulla dottrina dei cd. controlimiti all’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento. La sentenza, in ogni caso davvero interessante, merita una lettura, troverete in grassetto le parti più importanti. Per le mie tesi difensive vi rimando al link in cui ho pubblicato la memoria conclusiva: http://www.studiolegalemarcomori.it/riscattiamo-la-nostra-sovranita-la-memoria-conclusiva-nella-causa-corso-corte-dappello/

Estremamente punitiva la condanna alle spese di lite che supera, iva e accessori di legge compresi, i dieci mila euro. Mia intenzione è proseguire davanti alla Corte di Cassazione ma data l’importanza della cifra vi chiedo nuovamente di contattarmi qualora vogliate dare dei piccoli contributi economici alla mail mrc.mori@libero.it

R.G. n. 909/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA
SEZIONE SECONDA CIVILE
nelle persone dei magistrati:
dott. Ssa Carmela ALPARONE – Presidente
dott. Sa Angela LATELLA – Consigliere
dott. Ssa Maria Laura MORELLO – Consigliere relatore
riuniti in camera di consiglio,
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa civile d’appello avverso la sentenza n° 1252/2017 pubblicata il 10.5.2017 del Tribunale di Genova
promossa da:
avv. ******* , rappresentata e difesa in proprio ai sensi dell’art 86 cpc, oltre che giasta procura a margine dell’atto di citazione in appello anche disgiuntamente dall’avv. Marco Mori ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Rapallo, c.so Goffredo Mameli 98/4
Appellante
Contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella persona del Presidente del Consiglio pro tempore, nonché il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, ed il Ministero degli Affari Esteri, in persona del Ministro pro tempore, difesi e rappresentati ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato e nella sua sede, in Genova, Viale Brigate Partigiane 2, domiciliati
Appellati

Appellati contumaci
CONCLUSIONI
Per parte appellante:
“Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, per le causali di cui in narrativa, accertare che l’esponente non ha potuto esercitare, per i motivi tutti di cui in narrativa, il diritto plurisoggettivo della sovranità conformemente al combinato disposto degli artt. 1 e 11 Cost. e conseguentemente condannare, eventualmente anche in solido tra loro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del presidente protempore, il Ministero dell’Interno in persona del Ministro protempore, il Ministero degli Esteri tutti presso l’Avvocatura Generale dello Stato corrente in Genova, Viale Brigate Partigiane n. 2 a risarcire il danno non patrimoniale conseguente alla lesione del diritto plurisoggettivo della sovranità esercitato per il tramite il diritto di voto e ciò in forza delle norme di rango costituzionale citate ed ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 89 cost., 2043 c.c., 1 L. n. 400/1988 ovvero per le altre norme meglio viste e ritenute tra cui anche gli artt. 241 e ss. c.p., con quantificazione in via anche equitativa o nella misura che sarà determinata in corso di causa secondo il prudente apprezzamento del Giudicante ed in ogni caso non superiore alla somma di € 5.100,00.
In ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali”
Con vittoria delle spese.
Per gli appellati
“Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita, ogni contraria istanza rigettata, previa reiezione dell’istanza di sospensione, dichiarare inammissibile ex art. 348 bis c.p.c. ovvero respingere l’avversario appello e confermare la gravata sentenza; in via di appello incidentale condizionato, dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione.
Con vittoria delle spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 15 ottobre 2014, l’odierna appellante ha convenuto in giudizio nanti il Tribunale di Genova lite la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, ed il Ministero degli Affari esteri, per sentire accertare di non avere potuto esercitare il diritto plurisoggettivo alla sovranità conformemente agli artt. 1 e 11 Cost. e per sentire condannare le Amministrazioni evocate in lite al risarcimento del preteso conseguente danno non patrimoniale sofferto.
La causa del lamentato danno era individuata nell’approvazione delle discipline volte alla ratifica del Trattato di Maastricht e più in generale all’attuazione delle norme sovranazionali e internazionali volte alla creazione del mercato comune e della moneta unica.
Si sono costituiti in giudizio i convenuti, eccependo il difetto assoluto di giurisdizione e, nel merito, l’infondatezza dell’azione proposta, sia per l’insussistenza dell’illecito azionato, sia per l’ assenza di un danno risarcibile.
Intervenivano in via adesiva rispetto alla domanda attorea l’avv. ******.
Il Tribunale di Genova con sentenza n. 1252 del 10 maggio 2017, così statuiva: ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reietta, definitivamente pronunciando, così provvede:
respinge la domanda formulata da parte attrice;
respinge la domande degli intervenienti;
dichiara tenuti e condanna, in solido tra loro, parte attrice e parti intervenienti a corrispondere ai convenuti le spese del giudizio, liquidate in euro 6.783,00 per compensi professionali , oltre spese generali, IVA e CpA di legge.
Avverso la pronuncia proponeva appello l’avv. ******** deducendo: quale primo motivo d’appello, la carenza di motivazione, ed illogicità della sentenza, laddove considerava la domanda attorea unicamente sotto il profilo risarcitorio, senza valutare la domanda di accertamento della violazione degli artt. 1 e 11 compiuta con la ratifica dei trattati internazionale di Maastricht, Lisbona e del cd Fiscal Compact e legge Cost 1/2012.
Con il secondo motivo d’appello era richiesta la riforma della sentenza laddove non riteneva il diritto di sovranità, che si esercita per tramite l’esercizio del diritto di voto, un diritto inviolabile della persona.
Con il terzo motivo d’appello era censurata la determinazione delle spese di lite in base allo scaglione dei valore indeterminato e non in base al valore della domanda risarcitoria, indicata come non superiore ad € 5100,00.
Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato, deducendo l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. in quanto privo di una ragionevole possibilità di essere accolto, contestandone la fondatezza e chiedendone il rigetto nel merito.
Svolgeva altresì appello incidentale condizionato in punto carenza di giurisdizione.
***** e avv ******** non si costituivano in giudizio, nonostante la ritualità della notificazione nei loro confronti.
Precisate le conclusioni attraverso il deposito di note scritte sostitutive dell’udienza del 13.10.2020, ai sensi dell’art. 83 lettera h DL 18/20, la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di legge per le difese conclusive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve innanzitutto dichiararsi la contumacia di *********** e avv **************, non costituitisi in giudizio, seppure ritualmente evocati.
Venendo ai motivi di doglianza mossi dalle parti alla pronuncia impugnata, vi è da dire che parte appellante ha svolto tre motivi di censura.
Il primo attiene all’omissione di pronuncia in merito al richiesto accertamento della violazione di norme di rango costituzionale (segnatamente gli artt 1 e 11 Cost) da parte dello Stato, attuata con la ratifica di trattati internazionali (Maastricht, Lisbona e del cd Fiscal Compact e legge Cost 1/2012).
Il secondo motivo attiene all’erroneità dell’ esclusione del diritto alla sovranità dal novero dei diritti inviolabili.
Con il terzo motivo sono contestati i parametri di liquidazione delle spese di lite.
Il primo motivo è infondato.
Orbene, il diritto plurisoggettivo alla sovranità enunciato dall’articolo 1 Costituzione, esercitato attraverso il diritto di voto, trova limite nell’articolo 11 Costituzione, il quale prevede le condizioni alle quali le limitazioni alla sovranità possono essere disposte. Il secondo comma dell’art. 1 Cost recita: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. L’art. 11 recita: L’Italia.. consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Con la ratifica dei trattati di Maastricht, di Lisbona e del Trattato sulla Stabilità, lo Stato italianio si sarebbe, secondo l’assunto dell’appellante, spogliato della sovranità monetaria ed economica in violazione dei principi costituzionali e cagionando un danno non patrimoniale ad ogni cittadino. La sentenza di primo grado ha svolto un excursus giurisprudenziale in merito al riconoscimento dei trattati comunitari come fonte sovraordinata, al cui rispetto è tenuta la legislazione statale e regionale, ravvisando, quindi espressamente la “scorrettezza” della prospettazione attorea, che non ha considerato come l’art. 11 rappresenti in realtà “l’ancoraggio” costituzionale della partecipazione dell’Italia all’unione europea. A questo punto la pronuncia si è quindi interrogata sulla natura del diritto che si ritiene violato e sulla sussistenza di un danno risarcibile.
Orbene, l’accertamento dell’assenza di violazione di norme di rango costituzionale (segnatamente gli artt 1 e 11 Cost) da parte dello Stato attraverso la ratifica dei trattati europei, deriva proprio dal riconoscimento del fatto che l’atto di ratifica rientra nell’alveo del dettato costituzionale, che all’art. 11 consente le “limitazioni di sovranità necessarie” al fine di favorire la pace e la giustizia tra le Nazioni e promuovere le organizzazioni internazionali a tale scopo preposte.
Del resto, diversamente opinando, la pronuncia impugnata avrebbe dovuto rimettere al vaglio della Corte Costituzionale la valutazione di legittimità della norma statale.
Giova a questo punto sottolineare che ad avviso della Corte le domande di accertamento dell’illecito e del conseguente risarcimento del danno, muovono dall’assunto che sussista un diritto del privato e quindi una posizione giuridica soggettiva lesa dallo Stato attraverso l’atto di ratifica posto in essere.
La giurisprudenza più recente (Cass 23568/2011; Cass 1917/2012) a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n. 9147 del 17 aprile 2009, ha qualificato il cd. “illecito del legislatore” come derivante dalla violazione di un’obbligazione ex lege di natura
indennitaria, aderendo così alla tesi, fino ad allora minoritaria, secondo cui sussisterebbe un autentico obbligo legale per lo Stato membro di predisporre i mezzi necessari per garantire gli obiettivi di tutela posti dal diritto comunitario ( si richiama sul punto la riforma del titolo V della Costituzione, che all’art 117 primo comma stabilisce che la legislazione statale e regionale deve svolgersi, tra l’altro, nel rispetto degli obblighi comunitari).
Ne deriva, secondo quanto in seguito fatto proprio dalla pronuncia della Suprema Corte n. 23730 del 2016, che in caso di omessa, tardiva o erronea trasposizione di norme comunitarie non direttamente applicabili nell’ordinamento interno, deve ritenersi la responsabilità dello Stato.
La Corte di Cassazione ha chiarito che l’antigiuridicità della condotta dello Stato per omessa, tardiva o erronea trasposizione di norme comunitarie non direttamente applicabili non risiede nella violazione di norme interne o costituzionali, bensì proprio nella violazione in cui incorre lo Stato italiano rispetto all’ordinamento comunitario, che si colloca in una posizione di sovraordinazione.
Quando invece la presunta responsabilità dello Stato o delle Regioni si fondi sull’esercizio del potere legislativo, censurato poi dalla Corte Costituzionale, viene meno qualsiasi parametro di riferimento idoneo a qualificare la condotta dello Stato, o delle Regioni, come illecito o antigiuridico (stante il carattere autonomo e distinto tra i due ordinamenti, comunitario e interno, il comportamento del legislatore è suscettibile di essere qualificato come antigiuridico nell’ambito dell’ordinamento comunitario, ma non alla stregua dell’ordinamento interno, secondo principi fondamentali che risultano evidenti nella stessa Costituzione).
Ne deriva che la violazione di norme interne, anche di rango costituzionale, non determina comunque la illiceità della condotta dello Stato.
La Suprema Corte, effettua un richiamo alla insindacabilità dell’attività e degli atti in cui si estrinseca la funzione legislativa, ricordando che l’art. 7, comma 1, del c.p.a preclude qualsiasi sindacato del giudice amministrativo sugli atti politici.
La citata disposizione statuisce, infatti, che “non sono impugnabili gli atti o i provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”.
È evidente, infatti, che la libertà nei fini dell’ atto legislativo esclude la configurabilità di un illecito da parte dello Stato, pena il sindacato sulla discrezionalità del potere legislativo da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, con conseguente compromissione del principio di separazione dei poteri dello Stato.
Alla luce delle svolte considerazioni non solo quindi non si accerta alcuna violazione da parte dello Stato, ma si evidenzia altresì l’assenza di un diritto del privato (nella fattispecie l’appellante) e quindi di una posizione giuridica soggettiva che possa ritenersi lesa dallo Stato attraverso l’atto di ratifica posto in essere.
Con il secondo motivo d’appello è dedotta l’erroneità della sentenza laddove escludeva la natura di diritto inviolabile con riferimento al diritto alla sovranità, da esercitarsi attraverso il diritto di voto.
Il motivo è infondato. Orbene, l’art. 2 statuisce che: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Innanzitutto, si evidenzia che il diritto alla sovranità non rientra nel novero dei diritti personali. Si tratta di un diritto che si esplica attraverso la partecipazione democratica alla politica dello Stato, ed è quindi fondato sul diritto di voto, che come tale esclude una connotazione di natura personale.
Del resto, parte appellante non lamenta una lesione del diritto al voto di per sé considerato, bensì assume l’illegittima “cessione di sovranità” da parte dello Stato italiano, avvenuta attraverso la ratifica dei trattati.
Ecco allora che inevitabilmente si ritorna all’ inammissibile valutazione di una scelta politica volta al raggiungimento di stabile giustizia e pace tra le Nazioni.
Deve quindi confermarsi che va esclusa la inviolabilità del diritto alla sovranità con conseguente negazione, in astratto, della sussistenza di un danno risarcibile.
A ciò si aggiunga che l’appellante non ha svolto alcun motivo d’appello avverso il capo della sentenza che riteneva l’assenza stessa di allegazione del danno (“se manca del tutto la conseguenza del comportamento rilevante, siamo in presenza di quello che la Corte di cassazione ha definito danno evento, un danno che non può essere risarcito perché manca di uno dei requisiti essenziali della fattispecie. Si potrebbe in altri termini definirlo in termini di danno in reipsa, che, come insegna la Suprema Corte, non può essere riconosciuto”).
Osserva, quindi la Corte che avendo l’appellante contestato solo la prima delle due motivazioni sulle quali si sviluppa la sentenza del Tribunale, è comunque preclusa la riforma dell’impugnata sentenza, con riferimento al capo che nega il risarcimento del danno.
Con il terzo motivo d’appello viene censurata la decisione del Tribunale di quantificare le spese di lite in base al valore relativo allo scaglione delle cause di natura indeterminabile (“valore indeterminabile, complessità media, esclusa la fase istruttoria”).
L’appellante deduce di avere limitato la richiesta risarcitoria alla somma di € 5100,00 e che pertanto tale doveva essere considerato il valore della controversia.
Il motivo è infondato.
Come del resto la difesa dell’avv. Muzio mostra di ritenere (il primo motivo d’appello riguardava l’omessa pronuncia in merito alla domanda d’accertamento dell’illegittimo operato dello Stato) il petitum attoreo non si limita, infatti, alla mera richiesta risarcitoria.
Alla luce del contenuto delle domande formulate complessivamente intese, la controversia ricade quindi nel parametro previsto per le cause di valore indeterminabile.
L’appello incidentale condizionato svolto dalle amministrazioni appellate ed avente ad oggetto l’eccezione di carenza di giurisdizione resta assorbito nella pronuncia di rigetto dell’appello principale e conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Il rigetto dell’appello determina la soccombenza dell’appellante avv. Muzio Maura, con conseguente condanna di quest’ultima alla refusione delle spese di lite sostenute dagli appellati, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno e Ministero degli Affari esteri, che si liquidano, in conformità al DM 55/2014 con riferimento alle cause di valore indeterminabile (esclusa la fase istruttoria), come in dispositivo.
Si dà atto, in ragione del rigetto dell’appello, della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte d’Appello
Ogni diversa o contraria domanda, eccezione e deduzione disattesa e reietta, definitivamente pronunciando,
rigetta l’appello proposto dall’ avv. ********* avverso la sentenza n 1252/2017 pubblicata il 10.5.2017 del Tribunale di Genova.
Condanna l’appellante avv. *********** alla refusione delle spese di lite in favore degli appellati, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno e Ministero degli
Affari Esteri, rispettivamente in persona del Ministro pro tempore, che liquida in € 8066,00 per competenze, oltre 15% rimb forfet spese gen, iva e cpa come per legge.
Si dà atto , in ragione del rigetto dell’appello, della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.
Genova, 20.1.2021
IL Consigliere estensore
Dott.ssa Maria Laura Morello
Il Presidente
Dott.ssa Carmela Alparone