Dic 23

La via giudiziaria, tentiamo di fermare il delirio vaccinale.

Giovedì 16 ho discusso presso il Tribunale di Genova la prima vertenza da me patrocinata in riferimento ad un sanitario sospeso.

Il processo è stato ulteriormente rinviato al 23 febbraio 2022 per la nuova discussione.

Pubblico altresì integralmente anche per tutti i Colleghi che onorano la toga lottando contro questa infamia la mia memoria conclusiva:

Confermate le difese di cui al ricorso introduttivo e contestata la comparsa di costituzione e risposta avversaria si sottopongono a giustizia le seguenti sintetiche osservazioni conclusive.

1. In merito all’illegittimità della sospensione per violazione della procedura di cui al DL 44/2021 e successiva legge di conversione (n. 76/2021).

L’esponente non è stata sospesa in esito alla procedura di cui al DL n. 44/2021 e successiva legge di conversione, ma attraverso valutazione di inidoneità da parte del medico competente di cui al D.Lgs. 81/2008, nella persona del Dott. ………

La normativa speciale di cui al citato DL prevedeva una specifica e necessitata procedura volta alla verifica dell’avvenuta vaccinazione o delle ragioni di esenzione della stessa, attribuendone i relativi poteri unicamente in capo alla ASL. Solo all’esito di detta procedura la ASL e solo la ASL avrebbe potuto procedere alla sospensione del sanitario o dell’operatore di interesse sanitario non vaccinato.

Sempre la ASL successivamente alla definizione di questa procedura amministrativa necessitata avrebbe poi dovuto comunicare l’eventuale sospensione al datore di lavoro che solo a quel punto, previa verifica della possibilità di adibire il dipendente a mansioni che non implichino rischi di contagio, poteva procedere alla sospensione.

Il datore di lavoro, nelle more della procedura suindicata, e dunque fino a che allo stesso non fosse pervenuta la sospensione da parte del soggetto legittimato a definire l’iter amministrativo (appunto la ASL) non aveva neppure titolo, come del resto non lo aveva il medico competente, di richiedere informazioni sullo stato vaccinale al dipendente in riferimento al Covid, essendo dati ultrasensibili che solo la normativa suindicata ha inteso rendere disponibili obbligatoriamente ed unicamente proprio all’amministrazione titolata a svolgere la procedura di verifica.

La sospensione comminata all’esponente è dunque radicalmente illegittima per violazione della procedura prevista dall’art. 4 D.L. 44/2021 come successivamente convertito dalla Legge 28 maggio 2021 n. 76.

Benché quanto detto sia assorbente occorre rilevare che la procedura è stata violata anche in riferimento alla mancata valutazione di eventuali ulteriori mansioni o incarichi a cui adibire l’esponente.

I testi escussi all’ultima udienza hanno infatti confermato che nel caso di specie non sono state proposte altre mansioni, anche inferiori come prevede la normativa speciale, alla ricorrente stante il divieto che sarebbe stato disposto in tal senso nel contratto di assunzione della stessa. Nulla controparte ha provato circa la non esistenza di suddette diverse mansioni a cui adibire la ricorrente.

Ovviamente la normativa di cui si è detto imponeva tale valutazione a pena illegittimità della sospensione stessa e la norma di legge chiaramente deroga ad ogni diverso accordo precedentemente stabilito nel contratto di lavoro.

Anche tale profilo condurrebbe all’accoglimento del ricorso della ricorrente.

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  1. Disapplicazione del DL 44/2021 come successivamente convertito per violazione del Regolamento UE n. 953/2021.

Prima di entrare nel merito della formulata eccezione di incostituzionalità della suindicata norma occorre verificare preliminarmente se la stessa possa dirsi compatibile con il regolamento UE 953/2021 che come noto vieta espressamente la discriminazione di chi, per scelta, non intenda sottoporsi al trattamento vaccinale anti Covid.

In caso in cui detta compatibilità sia esclusa dovrà trovare applicazione nel presente giudizio esclusivamente la norma UE con conseguente disapplicazione della normativa interna incompatibile con essa. Ciò dunque senza trasmissione alcuna degli atti alla Corte Costituzionale.

Il regolamento UE citato, così come rettificato nella prima erronea traduzione il 5 luglio 2021, al considerando n. 36 recita testualmente: E’ necessario evitare ogni discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate (…) o hanno scelto di non essere vaccinate.

L’ultima inciso, oggetto di rettifica, non compariva nella traduzione italiana del testo del regolamento ma compariva, fin dal principio, nel testo originale in lingua inglese: “or chose not to be vaccinated”.

La scelta di non vaccinarsi è dunque pienamente legittima e non può portare a conseguenze di tipo discriminatorio nei confronti di chi legittimamente la percorre. Non si vede nulla di più discriminatorio e violento di impedire ad una persona non vaccinata di poter lavorare, posto che il lavoro è lo strumento con cui le persone si garantiscono la sussistenza, la natura alimentare della retribuzione non può infatti essere oggetto di discussione.

Ciò è ancora più vero se si pensa che con la normativa che entrerà in vigore il 15 dicembre, la sospensione dei lavoratori non vaccinati durerà ulteriori sei mesi, senza che il legislatore abbia previsto alcun sussidio nei confronti degli stessi così violando palesemente anche il dettato dell’art. 38 Cost.

Ultimo inciso sulla diretta applicabilità del considerando n. 36 del citato regolamento si rinviene nella norma di chiusura dello stesso.

Art. 17: “Il presente regolamento entra in vigore dal giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (n.d.s. 15.06.2021). Esso si applica dal 1 luglio 2021 al 30 giugno 2022”.

Ed ancora a chiusura: Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

In claris non fit interpretatio.

Pertanto nessun dubbio residua sull’applicabilità diretta del considerando n. 36 nel nostro ordinamento e conseguente dovere di disapplicazione della difforme normativa interna.

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3. In merito all’incostituzionalità del D.L. 44/2021 e della Legge di conversione n. 76/2021.

Come detto nel ricorso introduttivo qualora l’Ill.mo Giudicante non aderisse a quanto sopra esposto circa l’illegittimità della sospensione comminata alla ricorrente per violazione dell’art. 4 D.L. 44/2021 come successivamente convertito, si chiede fin d’ora che sia dichiarata non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della medesima norma quantomeno per violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost., potendosi altresì ritenere violati per le ragioni già elencate anche l’art. 38 Cost. e per quelle che si dirà infra, dell’art. 27 Cost.

Si vuole in questa sede focalizzare l’attenzione sulla questione centrale circa la legittimità dell’obbligo vaccinale ovvero che “La legge non può in alcun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Tale inciso impone due ordini di considerazioni.

Può dirsi compreso nel rispetto della persona umana un trattamento che non viene imposto ex lege per la generalità dei consociati, ma che viene imposto solo ad alcuni attraverso l’arma del ricatto?

Non esiste in Italia un obbligo vaccinale generalizzato, ma cionondimeno chi sceglie di non fare il trattamento è sottoposto a limitazioni della sua libertà o come nel caso di specie addirittura alla sospensione del diritto al lavoro, diritto ricompreso nei principi fondamentali dell’ordinamento, anzi diritto su cui si fonda la Repubblica stessa (art. 1).

Tale tecnica legislativa è irricevibile e ad avviso di chi scrive rientra nella piana applicazione dell’art. 610 c.p., ovvero del delitto di violenza privata.

In sostanza un ordinamento, al netto di quanto si dirà infra, ben potrebbe introdurre un obbligo vaccinale generalizzato e potrebbe prevedere sanzioni per chi si rifiutasse di adempiere.

Tali sanzioni potrebbero riguardare la sfera amministrativa (una multa ad esempio) o essere elevate a violazioni di rango penale.

Un ordinamento invece non può legiferare attraverso l’arma del ricatto od imporre sanzioni che di per sé ledono la dignità umana come il divieto di lavorare. La stessa sanzione penale, anche qualora comportasse il carcere risulta più umana del divieto di lavorare in sé laddove si consideri che in carcere è garantito al detenuto vitto e alloggio.

Il divieto al lavoro, incidendo invece sulla stessa possibilità di sopravvivere di un individuo, equivale nei fatti ad una sorta di pena di morte indiretta, o si cede al ricatto o non si può sopravvivere.

Tale tecnica legislativa è radicalmente illegittima anche rispetto all’art. 27 Cost. che pur, fermo il divieto della pena di morte (anche indiretta ovviamente!), rammenta che in ogni caso esse non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.

Si chiede dunque a Codesto Ill.mo Tribunale una valutazione e una risposta a questa domanda: è davvero umano lasciare senza lavoro un sanitario, come nel caso di specie, da giugno 2021 al maggio 2022 (in forza della recente proroga).

Veniamo infine alla legittimità in sé dell’obbligo vaccinale.

Sul punto la giurisprudenza della Corte Costituzionale è ampiamente consolidata su due principi di fondo da ultimo riassunti nella sentenza n. 5/2018.

Il trattamento può essere imposto a patto che sia efficace non solo per se stessi ma anche per gli altri (aspetto non oggetto di contestazione nel giudizio oggetto della pronuncia costituzionale) ed a patto che esso non sia pericoloso per l’individuo che subisce il trattamento.

Con la sentenza della Corte Costituzionale n. 258/1994 sono ben riassunti i limiti all’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio laddove si afferma “che la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, PER LA LORO TEMPORANEITÀ E SCARSA ENTITÀ, appaiono normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili”.

Pertanto una conseguenza tollerabile e che non incide sulla legittimità di un obbligo vaccinale è solo quella di scarsa entità e di carattere temporaneo.

Laddove il trattamento possa provocare conseguenze invalidanti permanenti o la morte stessa, esso non può essere imposto violando altrimenti il dettato dell’art. 32 Cost., neppure laddove la legge prevedesse un risarcimento essendo il limite della scarsa entità e temporaneità degli effetti avversi un baluardo invalicabile.

Confrontando questo assunto con i dati del nono rapporto Aifa prodotto da questa difesa non si può che concludere per la certa illegittimità dell’obbligo in parola.

Il nono rapporto certifica un tasso di segnalazioni di eventi avversi gravi post vaccino pari a 17 ogni 100.000 inoculazioni.

A pag. 13 del rapporto si evidenzia come i morti segnalati a seguito dell’inoculazione sono stati 608 variamente distribuiti su tutti i vaccini in commercio.

Fino a qui si potrebbe affermare che segnalati non significa correlati.

Ma sempre a pagina 13 è la stessa Aifa ha specificare il numero dei casi oggi ritenuti come correlati alla vaccinazione.

Ebbene 16 casi su 435 decessi esaminati sono stati considerati correlabili, testualmente: “COMPLESSIVAMENTE 16 CASI (3,7%) SU 435 VALUTATI SONO RISULTATI CORRELABILI (CIRCA 0,2 CASI OGNI MILIONE DI DOSI SOMMINISTRATE)”.

Le cause di ulteriori 133 morti su 435 sono invece risultate indeterminabili, per cui in ogni caso la correlazione non può essere esclusa ed ai fini giuridici la condizione di indeterminatezza equivale a quella di correlazione.

Davanti a questi dati opera una conseguenza giuridica necessitata che è quella sancita dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale. Un simile trattamento viola il limite del rispetto della persona umana non potendo essere imposto il sacrificio del singolo individuo neppure davanti alla tutela di tutti gli altri e ciò dunque anche aderendo alla tesi dell’efficacia di tali trattamenti, a cui certamente lo scrivente non aderisce alla luce dell’evidenza oggettiva dei fatti.

Mai si era visto un vaccino che non è in grado di debellare una patologia che come noto sta proseguendo ad esistere colpendo in misura assolutamente significativa anche i soggetti vaccinati.

Tra l’altro sul punto e per mero tuziorismo difensivo si rammenta che uno degli ulteriori paletti previsti dalla Corte Costituzionale per legittimare l’obbligo è anche quello dell’efficacia del trattamento non come misura di protezione individuale (se fosse solo questo non sarebbe impossibile imporlo non potendo entrare il legislatore nella sfera personale del singolo individuo), ma a tutela dei terzi. Ebbene se i vaccinati, come si è visto ampiamente, contagiano e possono contagiare, ma avrebbero il mero vantaggio di subire in misura percentuale inferire gli effetti più gravi del Covid, com’è possibile anche da questo punto di vista parlare di obbligo? Fermo il rilievo assorbente circa il fatto che di vaccino si può morire così come certificato da Aifa e dunque che non è necessario addentrarsi su questo tema per la definizione del presente giudizio.

Per mero tuziorismo difensivo laddove si eccepisce che il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia, ha paragonato il nono rapporto AIFA a quelli di altri vaccini resi obbligatori (legge Lorenzin) ha affermato una circostanza smentita documentalmente. Nella sentenza infatti non si fa erroneamente riferimento ai morti, che non sono stati presi neppur in minima considerazione nell’impianto motivazionale.

I morti considerati correlati sui trattamenti resi obbligatori con la legge Lorenzin secondo AIFA sono ad oggi zero, con conseguente radicale differenza rispetto alla fattispecie oggetto del contendere.

Se non si ritenessero assorbenti dunque le altre eccezioni di questa difesa la questione della legittimità o meno del trattamento non potrebbe che essere definita dalla Corte Costituzionale, intervento che avrebbe anche il merito di chiudere la questione dal punto di vista giudiziario con innegabile vantaggi per l’intera macchina della Giustizia, spezzando l’incertezza in una materia che oggi risulta fondamentale per l’intera nazione.

Si confermano pertanto le già rassegnate

CONCLUSIONI

Piaccia all’Ill.mo Giudice adito – contrariis reiectis –

-in via principale dichiarare, nullo, illegittimo e/o comunque annullabile il provvedimento di sospensione emesso dal datore di lavoro per le ragioni tutte di cui al ricorso e per l’effetto condannare il suddetto, anche previa disapplicazione degli atti illegittimamente emessi in via prodronomica dal medico competente alla sospensione, al reintegro della dipendente sul luogo di lavoro presso il quale era stata assegnata ed al risarcimento dei danni patiti consistenti nelle retribuzioni di legge dovute dalla data della sospensione fino a quella dell’effettiva reintegra sul lavoro, oltre agli ulteriori emulumenti di legge spettanti, oltre ad ogni ulteriore voce dovuta in forza del CCNL vigente;

-In ogni caso con vittoria di diritti, spese e onorari”.

Con la massima osservanza.

Rapallo, 6 dicembre 2021 Avv. Marco Mori