Lug 24

La convivenza impossibile tra Trattati UE e Costituzione: il cammino (violento) verso un nuovo ordine globale.

La democrazia costituzionale è morta. Questa è la situazione in cui si trova il nostro paese.

L’unica strada per uscire dalla violenta crisi economica in atto è comprenderne le cause, che ovviamente non sono affatto quelle che tutti i giorni ci vengono propinate da media che, nella grande maggioranza, definire di regime pare addirittura eufemistico.

Se ciò che dico vi sembra una dichiarazione troppo forte cominciamo da una semplicissima osservazione di uno dato di fatto innegabile. In questo paese non votiamo secondo legalità Costituzionale dal 2006, ovvero da tale data il nostro voto non è eguale, libero e personale.

Solo nel 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la precedente legge elettorale denominata “porcellum”. Tuttavia la composizione del Parlamento è rimasta immutata ed ormai si va verso la fine della legislatura come se nulla fosse. Come chiamereste uno Stato dove non si vota secondo legalità da quasi dieci anni? Se non si trattasse dell’Italia non vi sarebbe alcun dubbio: dittatura.

Gli effetti dell’incostituzionalità della legge elettorale sono stati catastrofici per la nostra Repubblica, in particolare il premio di maggioranza, ed un Parlamento composto da nominati scelti dai partiti, hanno sovvertito l’equilibrio tra i tre fondamentali poteri dello Stato, esecutivo, legislativo e giudiziario. Mentre la nostra Costituzione prevede che il Parlamento debba essere il luogo ove, previo dibattito, si legifera (art. 70 Cost.), con il “porcellum” si è invece fatto in modo che il Parlamento diventasse semplicemente il luogo in cui vengono ratificate le decisioni già prese dal Governo. Decisioni peraltro usualmente rese vincolanti a colpi di decreto legge, emessi andando ben oltre i requisiti di cui agli artt. 76 e 77 Cost., utilizzando anche il cosiddetto strumento della fiducia al momento della conversione.

Volendo tornare, dopo un pò di tempo, a fare un articolo tecnico trascrivo queste due norme costituzionali totalmente dimenticate:

-art. 76 Cost.: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti”;

-art. 77 Cost.: Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.

Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.

Tornando al tema delle conseguenze di un Parlamentare “nominato” appare ovvio che esso sa perfettamente che se non vota la fiducia ad un provvedimento del Governo tornerà a casa poiché, in caso di scioglimento delle Camere, il partito non lo inserirebbe nuovamente nelle liste elettorali impedendogli di proseguire nel suo incarico con buona pace anche dell’assenza di vincolo di mandato costituzionalmente prevista (Art. 67 Cost.).

Il Governo, a sua volta, è poi divenuto il mero esecutore dei provvedimenti di Bruxelles ovvero dei provvedimenti di quella UE che oggi è semplicemente il braccio armato di una strisciante dittatura finanziaria ordoliberista. Ma cos’è successo in concreto? Per capirlo basta partire dalla semplice lettura di una frase, una frase di Mario Monti, un traditore della nostra Patria e della nostra Costituzione.

Monti in particolare ha detto qualcosa di davvero sconcertante che come sempre amo riportare testualmente: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste CESSIONI solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. Costrizione, esecuzione traducendo in Italiano) rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale”. (video)

Questo discorso è la pura e semplice ammissione che la crisi è un atto necessario al fine di ottenere cessioni di parti di sovranità nazionale affinché i Governi si sposino compiutamente con i mercati, a tale fine servono strumenti di costrizione ed esecuzione (avete mai sentito parlare, ad esempio, di MES o ERF o dello stesso FISCAL COMPACT?).

Monti dunque ha certificato ed approvato un atto ostile verso il nostro paese.

Ebbene come si è creata questa crisi, quali sono le sue basi giuridiche? Molto semplice, la crisi è codificata nelle norme contenute nei Trattati Europei ed in particolare da Maastricht in poi, norme non compatibili, anzi diametralmente opposte, rispetto al dettato della nostra Costituzione. Si deve necessariamente approfondire l’aspetto tecnico della questione e dunque chiederci come, soprattutto i criteri di stabilità e convergenza europei, abbiano potuto mettere in ginocchio le nostre economie. Il problema della crisi economica è tutto qui, nulla a che vedere con il pur deprecabile fenomeno della corruzione che è semplicemente una “falsa bandiera” per distrarre le masse. Nulla a che vedere anche con l’evasione fiscale che anzi, oggi, paradossalmente ostacola le illegali politiche UE volte alla distruzione della domanda interna.

La crisi è dunque codificata nelle cessioni di sovranità monetaria ed economica previste da Maastricht in poi. In particolare assumono rilievo il Protocollo n. 12 del Trattato sulle procedure di disavanzo eccessivo e la cessione completa della sovranità monetaria. Questi rappresentano le due facce della moneta Euro che dunque diventa un metodo di Governo.

Il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht fissa un limite massimo al debito pubblico complessivo nel rapporto col PIL pari al 60% ed introduce il famoso vincolo del 3% del deficit annuo, ovvero la quota di indebitamento massimo rispetto al PIL consentita ad una nazione.

Cosa succede ad uno Stato se deve rispettare tale parametro? Molto semplice.

Il 3% del PIL annuo non è sufficiente a coprire neppure gli interessi passivi sul debito pubblico, ergo lo Stato è costretto a tassare più di quanto spende.

Dal 1992 in poi l’Italia ha collezionato una serie record di avanzi primari che hanno portato il paese nell’attuale drammatica situazione economica. L’Italia muore perché ha i conti troppo in ordine! 

Benché sia un concetto non menzionato di frequente e quindi inizialmente contro intuitivo, è assolutamente chiaro che se lo Stato tassa più di quanto spende la differenza dovrà venire direttamente dalle nostre tasche. Visto che noi cittadini, come meglio si argomenterà infra, non possiamo stampare moneta è ovvio, proprio come è ovvio che la Terra sia piatta, che pagheremo la differenza utilizzando i risparmi accantonati negli anni precedenti e se non abbiamo più liquidità pagheremo in beni reali oppure con la perdita della libertà.

Unica alternativa sarebbe quella di ottenere la differenza attraverso un saldo positivo della bilancia dei pagamenti, ovvero attraverso le esportazioni. Cioè ottengo moneta dalle altre nazioni esportando ivi i miei prodotti.

Tale politica non può essere attuata nel lungo periodo, lo rilevava già Keynes, in quanto le aziende di un paese, in questa situazione, non hanno risorse sufficienti per investire ed inoltre perché non è mai possibile recuperare competitività deflazionando i salari dei lavoratori all’infinito (In ogni caso con le esportazioni il risparmio non sarebbe mai diffuso ma al massimo si concentrerebbe nelle imprese esportatrici in violazione dell’art. 47 Cost. come meglio si dirà infra). Nel lungo periodo tale ipotesi di politica economica è semplicemente demenziale oltre a porre gli Stati su un piano di inutile conflittualità, competere anziché spingere la propria domanda interna in passato ha addirittura portato alla guerra.

Normalmente è la politica monetaria, meglio la svalutazione della moneta, a consentire una bilancia dei pagamenti positiva, ferma restando la preferibilità di un’economia volta a sostenere la propria domanda interna. Così faceva l’Italia quando aveva l’amata Lira. Oggi invece la competitività si può ottenere solo deflazionando i salari, azione incostituzionale in una Repubblica fondata sul lavoro (Art. 1 Cost.) e dai costi umani immensi (si pensi solo al numero dei suicidi già avvenuti in Italia ed in Europa).

Le obiezioni a tali considerazioni sono sempre le solite e, spiace dirlo, dimostrano unicamente una palese ignoranza giuridica ed economica. Eccone una classica: ma dove prendiamo allora i soldi per finanziare la spesa a deficit? Facile, andrebbero finanziati con la piena sovranità monetaria e dunque stampando direttamente moneta oppure avvalendosi di una banca centrale pubblica in grado di acquistare i titoli di Stato che sovranamente la nazione emetterà per finanziare la propria spesa senza alcun limite. La spesa pubblica dunque come mezzo per immettere nuova moneta nel sistema. Vi garantisco che per immettere nuova moneta (ovvero moneta aggiuntiva rispetto a quella reperibile con le tasse) è meglio la spesa pubblica degli elicotteri! Gli effetti sull’economia reale sono decisamente migliori.

Ecco che risposta alla prima contestazione scatta la seconda obiezione ovvero quella secondo cui immettendo moneta nel sistema si avrebbero spinte inflazionistiche non controllabili. Falso. Clamorosamente falso!

L’inflazione è più uno spauracchio che un vero nemico sotto il profilo scientifico. Anzi, ricordiamo sempre che secondo il noto principio della “Curva di Phillips”, la piena occupazione è in realtà raggiungibile solo aumentando l’inflazione. Peraltro oggi non vi sono spinte inflazionistiche quindi non vi è ragione di praticare austerità invece che politiche monetarie ed economiche espansive. Non ha senso preoccuparsi di un’inflazione che non esiste. Invece avrebbe senso occuparsi del problema opposto, la deflazione. Se ho la pressione troppo bassa assumo farmaci idonei ad alzarla, non penso di non curarmi per evitare di averla troppo alta. Mi porrò questo problema solo laddove si dovesse verificare.

Chiaro che in deflazione serve maggior moneta nel sistema, anche per tornare a livelli occupazionali accettabili, in assenza dei quali ovviamente non è ipotizzabile alcuna spinta inflazionistica. Nonostante ciò, invece che immettere moneta (per tramite la spesa pubblica), ovvero abbassando le tasse, si continua ad imporre agli Stati l’austerità: si provoca rarefazione monetaria, maggiore deflazione e conseguente disoccupazione. Inoltre fin quando la produzione è superiore alla domanda di beni o servizi perché mai l’inflazione dovrebbe crescere?

Sul punto è semplice anche osservare che, come afferma il Presidente della V Sez. del Consiglio di Stato, Luciano Barra Caracciolo, il ritorno alla sovranità monetaria non vuol affatto dire che si potrà finanziare direttamente ogni tipo di spesa senza limiti oggettivi. Caracciolo nel suo libro, “Euro e (o?) democrazia costituzionale”, edizioni Dike, (vivamente consigliato), fa un esempio suggestivo, quello del finanziamento di una missione spaziale su Marte. Il paradosso viene evidenziato proprio per sottolineare che a tutto c’è un limite e come la troppa moneta immessa per mezzo della spesa pubblica potrebbe essere distruttiva quanto la troppo poca moneta. In sostanza una politica monetaria sbagliata è sempre “cattiva” e l’austerità eterna è per definizione una politica sbagliata, anzi demenziale e (o?) criminale. Ovviamente solo con la piena sovranità monetaria ed economica uno Stato potrà porre in essere un’equilibrata strategia volta, come prevede la nostra Costituzione, alla piena occupazione e non già alla stabilità dei prezzi.

Tuttavia tale possibilità di determinarsi sovranamente in materie di politiche monetarie è espressamente esclusa dai Trattati UE. Dobbiamo quindi necessariamente esaminare il testo di alcune delle principali norme in materia perché, solo con la loro lettura, è possibile la piena comprensione di quanto ivi si afferma, ecco dunque l’incubo europeo:

-Articolo 127 (versione consolidata TFUE – Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – Lisbona 2007)

(ex articolo 105 del TCE).

1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea (nds – l’articolo 3 in parola parla di benessere e pace che dunque per norma vengono dopo la stabilità dei prezzi!). Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.

2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:

definire e attuare la politica monetaria dell’Unione, 6655/7/08 REV 7 RS/ff 136

JUR IT

svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,

detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,

promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.

3. Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in valuta estera.

4. La Banca centrale europea viene consultata:

in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze,

dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129, paragrafo 4.

La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.

5. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli

enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.

6. Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”

-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 106 del TCE)

1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione”.

Ratificando questo abominio giuridico lo Stato ha rinunciato a poter stampare direttamente moneta, cosa che non faceva già anche prima del 1981, ma certamente ciò che allora era una libera scelta, su cui il popolo poteva sovranamente intervenire, è diventato un obbligo a seguito del cd. “divorzio”.

Se qualcuno non lo sapesse, il “divorzio” del 1981 a cui ci si riferisce è quello avvenuto tra Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro. Andreatta, l’allora Ministro, con una semplice lettera, pose fine all’acquisto illimitato dei titoli di Stato da parte della nostra banca centrale. La conseguenza? Un’impennata degli interessi sul debito che portarono in dieci anni al raddoppio dello stesso. Ecco il clima in cui nel 1992 si arrivò a Maastricht, ieri come oggi una crisi (artificialmente indotta) del debito, fu la leva per strapparci fette di sovranità. Torniamo all’esame delle norme del Trattato di Lisbona in versione consolidata.

-Articolo 130

(ex articolo 108 del TCE)

Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”.

Questa è la dottrina della Banca Centrale indipendente, dottrina ovviamente contraria alla Costituzione ed in definitiva alla democrazia, con particolare riferimento agli artt. 1, 11 e 47 Cost. di cui si dirà infra.

-Articolo 123 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 101 del TCE)

1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, cosìcome l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.

2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”.

Questo articolo rappresenta l’ulteriore certificazione documentale ed incontestabile dell’avvenuta cessione della sovranità monetaria ad un sistema di banche che, in definitiva, sono proprio le banche private e commerciali che tutti noi conosciamo, visto che BCE è composta dalle Banche Centrali Nazionali che a loro volta sono composte in larghissima maggioranza da banche private. Raramente si è visto un simile e manifesto conflitto d’interesse posto che tenere stabile il livello dei prezzi e dell’inflazione ovviamente agevola i creditori e non certo i debitori che hanno un interesse diametralmente opposto, dunque la rarefazione monetaria è utile solo alla finanza speculativa.

Il modello Costituzionale tuttavia è molto diverso, esaminandolo, anche per sommi capi, si evidenzia, davvero con grande facilità, la totale incompatibilità tra esso ed i Trattai UE che, come recentemente confermato anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 238/14, non sono sovraordinati ai principi fondamentali ed ai diritti inviolabili dell’uomo sanciti nella nostra Carta, fatto che ha consentito allo scrivente di promuovere una causa attualmente pendente nanti al Tribunale di Genova proprio per portare le leggi di ratifica dei Trattati all’attenzione della Corte Costituzionale.

In particolare la Corte ha potuto affermare che: “Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso[…] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione»(sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988).

Ed ancora, confermando anche il concetto di limitazione fatto proprio dallo scrivente, la Corte afferma: “Anche in una prospettiva di realizzazione dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati ai principi di pace e giustizia, in vista dei quali l’Italia consente a limitazioni di sovranità (art. 11 Cost.), il limite che segna l’apertura dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazionale e sovranazionale (artt. 10 ed 11 Cost.) è costituito, come questa Corte ha ripetutamente affermato(con riguardo all’art. 11 Cost.: sentenze n. 284 del 2007, n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973; con riguardo all’art. 10, primo comma, Cost.: sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 48 del 1979; anche sentenza n. 349 del 2007), dal rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo, elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale”.

In claris non fit interpretatio.

Ma veniamo alla nostra amata Costituzione.

L’art. 1 Cost. recita: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

La fondazione della Repubblica sul lavoro impone precisi obblighi allo Stato in merito alla rimozione delle condizioni di ordine economico e sociale che rendano effettivo questo diritto in capo a tutti i lavoratori per consentendogli, appunto, di partecipare alla vita economica e sociale del paese (artt. 3 e 4 Cost.). All’uopo la Costituzione disegna un preciso modello economico, diretta emanazione e specificazione dei principi fondamentali, palesemente Keynesiano e dunque completamente opposto al modello dei trattati. Nella Costituzione l’iniziativa privata è certamente garantita ma sempre subordinata la stessa all’interesse pubblico che deve sempre prevalere. Il bene di molti è sempre preferibile al profitto dei singoli. L’Italia è una democrazia basta sulla solidarietà economica, politica e sociale e non già sulla forte competitività come prevedono i Trattati UE (Art. 2 Cost.). Lo stesso concetto di competitività tra nazioni è ampiamente contrario ad ogni valore proprio dell’integrazione europea ed in definitiva a quei valori di pace e giustizia costantemente invocati (completamente a sproposito) anche da Giorgio Napolitano, sfortunatamente nostro Presidente della Repubblica.

L’incostituzionalità dei Trattati è palese nella sostanza, ma altresì lo è a monte, ovvero laddove costituiscono, in ogni caso, una illegittima e pacificamente ammessa, anche dagli stessi organismi europei, cessione di sovranità.

Sul punto occorre esaminare l’art. 11 Cost. ovvero la norma che disciplina i limiti richiamati dal citato art. 1: La Repubblica consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle LIMITAZIONI di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli.

Orbene la parola “cessione” non esiste nella nostra Carta fondamentale. La Repubblica consente semplicemente le limitazioni di sovranità a condizioni ben precise (reciprocità ed adesione ad un ordinamento che promuova la pace e la giustizia tra i popoli e non certo la forte competitività tra i medesimi). Lapalissiano, quindi, che cedere sovranità è cosa ben diversa dal limitarla.

Limitare significa omettere di esercitare una prerogativa sovrana, ma non consegnare quella prerogativa sovrana ad un soggetto terzo rispetto all’ordinamento italiano a titolo definitivo. Un esempio: eliminare le frontiere costituisce pacificamente una mera limitazione. Se invece si decidesse di far gestire le stesse ad un ordinamento esterno si dovrebbe parlare a pieno titolo di cessione.

Altresì, fermo il divieto pacifico di cessioni, anche per le mere limitazioni la Costituzione pone, come detto, ulteriori condizioni ovvero quella di parità tra le nazioni (esiste oggi questa condizione? Certamente no, basta solo pensare alle differenze con cui ogni Stato si finanzia sui “democratici” mercati) e quella del fine esclusivo dell’adesione ad un ordinamento che tuteli la pace e la giustizia tra i popoli.

Per un approfondimento sul tema è sufficiente la piana lettura dei verbali dell’assemblea costituente che come noto costituiscono e rappresentano quella che si può definire come l’interpretazione autentica della Costituzione. Ebbene nulla di quanto approvato con i Trattati è stato anche semplicemente ipotizzato nel dibattito dei padri costituenti. Mai si è anche solo pensato ad un’Italia priva di sovranità, tanto meno priva di sovranità in materia monetaria ed economica, campi che nulla afferiscono alla promozione della pace e della giustizia tra i popoli. La domanda interna di un paese ed il suo sviluppo sono per definizione fatti privati per uno Stato, anzi più l’economia interna è solida più sarà facile collaborare con le altre nazioni in pace ed armonia. La miseria invece, come ampiamente dimostrato dalla storia, porta alla guerra.

La cessione di sovranità peraltro non è solo un illecito Costituzionale ma, come più volte ho denunciato, ha conseguenze penali, con particolare con riferimento agli artt. 241 e 243 c.p., per ragioni argomentabili con estrema semplicità. Certamente è più agevole argomentare circa la violazione del precetto penale che non tentare di dimostrare la compatibilità tra Trattati e Costituzione che invece richiederebbe vere acrobazie giuridiche che nessuno ha mai neppure tentato. I liberisti infatti hanno sempre schivato il tema, non esiste alcun testo giuridico che argomenta compiutamente in merito alla legittimità delle cessioni di sovranità nazionale.

Nello specifico della responsabilità penale in tema di cessioni di sovranità (ovviamente laddove volontariamente compiute) si rammenta quanto segue. La sottrazione della sovranità e dell’indipendenza nazionale era pacificamente reato ex art. 241 c.p. fino all’anno 2006 (guarda caso l’anno del “porcellum”) allorquando la fattispecie incriminatrice, nonostante non fosse mai stata applicata, fu stranamente modificata inserendo un requisito oggettivo in più per la consumazione del reato, ovvero che la cessione avvenisse per mezzo di “atti violenti”. Tuttavia la norma resta a mio avviso ampiamente applicabile in quanto, per giurisprudenza costante ed oltremodo consolidata, la violenza è anche costituita dall’inganno e dalla cooptazione e qui torniamo pienamente alla frase di Mario Monti: se la crisi economica è volontaria e finalizzata a obbligarci a cedere sovranità siamo di fronte ad un palese inganno se non ad una vera violenza.

Non aderendo a ciò resta comunque l’ipotesi delittuosa dell’art. 243 c.p. laddove vengono puniti anche i semplici atti d’intelligenza con lo straniero (dunque i soli accordi) diretti a compiere atti ostili contro lo Stato. Riuscireste ad immaginarvi un atto più ostile contro una nazione che la cancellazione della Sua sovranità? Se si perde la sovranità si perde la personalità giuridica di uno Stato, il suo potere d’imperio.

La sovranità una volta si perdeva con i carri armati oggi con lo spread ma questo, se frutto di accordi con lo straniero, rimane un atto ostile contro la personalità giuridica di uno Stato, e l’art. 243 c.p. ovviamente fa parte proprio di quei reati che il codice penale chiama: “dei delitti contro la personalità dello Stato”.

Ma come vi dicevo l’incompatibilità tra Trattati e Costituzione non si ferma alla questione, pur fondamentale, della cessione illecita di sovranità ma si pone anche in riferimento al modello economico Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro. Modello che non può essere accantonato in quanto diretta esplicazione dei principi fondamentali dell’ordinamento e non soggetto a revisione costituzionale ex artt. 138 e 139 Cost.

In particolare assume un rilievo davvero fondamentale l’art. 47 Cost. che dispone: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il credito.

Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”.

Il tema del risparmio è costantemente dimenticato nel nostro ordinamento, benché sia un diritto costituzionalmente tutelato.

La definizione di risparmio, peraltro, è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.

Nel nostro paese, nel nome di una falsa emergenza di cassa di cui si è detto, il risparmio viene oggi pesantemente aggredito, sia attraverso una sostanziale tassazione che lo comprime in tutte le sue forme (basti ad esempio pensare all’illegittima tassazione sulla casa, per definizione il bene rifugio degli italiani), sia (soprattutto) per tramite la messa al bando delle politiche di deficit nazionale.

Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” e garantire, come prevede il comma secondo dell’art. 47, un risparmio necessariamente “diffuso”, comporterebbe un approccio completamente diverso alla politica economica. Siamo in presenza di una sostanziale abrogazione del precetto costituzionale causato da quello che possiamo a tutti gli effetti chiamare “un vincolo esterno” proveniente dall’UE.

Come sempre quando si parla di Costituzione è utile leggere i verbali dell’assemblea costituente. Da essi si evince con forza quanto fosse chiaro e limpido il concetto della tutela del risparmio nelle intenzioni dei padri costituenti e ciò come conseguenza diretta ed immediata della stessa fondazione della Repubblica sul lavoro e del diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata a garantirgli un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Addirittura vi era chi sosteneva che fosse superfluo inserire il risparmio tra i valori costituzionali essendo un concetto pleonastico (allora evidentemente nessuno pensava che la moneta crescesse spontaneamente nei campi).

Il risparmio è necessario per la realizzazione della democrazia.

Occorre in primo luogo avere ben chiaro come si verifica il fenomeno dell’accantonamento del risparmio entrando necessariamente in una logica di politica economica e monetaria, appunto le materie in cui non abbiamo più sovranità.

Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema, chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventerà una mera utopia non essendo più realizzabile matematicamente.

Uno Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio diffuso in tutte le suo forme ma lo rende impossibile ex lege.

Un lavoratore che non può risparmiare non potrà avere un’esistenza libera e dignitosa e avrà un ostacolo insormontabile alla propria partecipazione alla vita politica, economica e sociale del paese (così violando anche l’art. 3 Cost.).

Il concetto, come dicevamo, sembra contro intuitivo, anche per i giuristi. Ciò accade in quanto anche noi professionisti siamo soggetti a forme di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno fertile laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un pensiero del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in diritto: non siamo dunque in grado di comprendere il significato giuridico-costituzionale del concetto di deficit pubblico, concetto che necessariamente (ed urgentemente!) dovrà prima o poi essere trattato dai giudici della Corte Costituzionale.

Deve essere chiarito, fino a rendere il concetto pacifico per tutti, esattamente come è oggi pacifico affermare che la Terrà non è piatta, che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia.

Un’azienda crea risparmio quando le attività superano le passività, lo Stato invece può creare attività patrimoniali per i propri consociati unicamente attraverso il passivo, ovvero immettendo più moneta di quanta ne preleva. Lo Stato secondo il modello costituzionale dunque, è la figura che regolamenta le principali variabili macroeconomiche del paese, lo Stato appunto deve: “disciplinare, coordinare e controllare il credito” (Art. 47 Cost.).

Lo Stato, in definitiva, deve immettere moneta nel circuito economico.

Una moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi adottato), oppure attraverso le esportazioni. Oggi sia la stampa diretta di moneta che la spesa pubblica a deficit sono precluse dai Trattati UE e dunque ci rimane solo la via dell’esportazione.

La base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da altre nazioni (esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).

Viene altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro paese potrà tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque per farlo dovrà acquisire la tanto decantata (ancora una volta Monti insegna) maggiore competitività, ottenibile solo passando dalla svalutazione salariale, ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto prevede il modello costituzionale.

I salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – ancora Mario Monti, un nemico del paese ma evidentemente un nemico molto sincero). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.

Il deficit costituisce reddito indiretto e differito per tutti i cittadini (reddito che i privati non potranno mai sostituire con la sola leva dell’esportazione) e tagliandolo si avrà, sic et simpliciter, una contrazione del PIL. Azzerando la spesa pubblica si azzererebbe anche l’economia che non potrebbe mai ripartire perché non vi sarebbe moneta per pagare gli scambi di beni o di servizi, salvo un improbabile “boom” della professione di falsario.

Dunque la tutela del risparmio si pone in evidente contrapposizione ai vincoli d’indebitamento dei Trattati UE ed al pareggio in bilancio in Costituzione che costituisce la certificazione definitiva del fatto che la Repubblica non si occuperà più della tutela del lavoro e del sostegno all’economia ma solo della stabilità dei prezzi. Anzi la Repubblica si adopererà per smantellare questi diritti in attesa che si arrivi ad un nuovo ordine mondiale (su cosa sarà basata non è dato sapere ma di sicuro se fosse un progetto benevolo ed illuminato non si utilizzerebbero strumenti criminali per ottenerlo).

Tale sistema, come detto, è palesemente incompatibile anche con l’altro brocardo inserito nell’art. 47 Cost. ovvero: La Repubblica disciplina, controlla e coordina il credito. Oggi non solo la Repubblica non coordina e non controlla il credito ma addirittura è il settore creditizio ad imporre le politiche economiche allo Stato come pacificamente avvenuto nel 2011 allorquando un parere di BCE aprì la porta all’austerità che sta devastando la nostra economia, strumentalizzando la falsa crisi dello spread che era stata in realtà direttamente provocata da BCE con l’annuncio di non sostenere il debito italiano neppure sul mercato secondario.

Coordinare e controllare il credito implica detenere la sovranità monetaria e non cederla ad una banca indipendente da cui lo Stato, ovviamente, dipende. La Costituzione è pacificamente tradita: il modello dei Trattati, con la citata dottrina della banca centrale indipendente, è addirittura opposto.

Concludiamo la panoramica evidenziato come la drammatica situazione prospettata, che già condanna il nostro paese alla recessione eterna, va ulteriormente peggiorando e ciò in forza del Trattato Fiscal Compact del 2012, della conseguente modifica dell’art. 81 Cost. e della messa a punto proprio di quei meccanismi di “enforcement” che Mario Monti tanto invocava nel discorso che ha aperto il presente articolo (ovvero ad esempio MES e soprattutto il prossimo venturo ERF di cui potete leggere compiutamente in questo articolo: clicca qui).

Nel novembre 2011 avviene l’inasprimento del patto di stabilità e crescita, già teorizzato anni prima con il mai applicato Regolamento della commissione europea 1466/97 (non è dunque corrispondente al vero la tesi del Prof. Guarino, ovvero quella secondo la quale l’Euro attuale non è quello previsto nei Trattati ma quello del regolamento 1466/97, purtroppo un Euro buono non esiste), con una serie di nuovi Regolamenti meglio noti con i nomi di six pack e two pack, ivi si codifica ciò che vedete avvenire in questi giorni, ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità ad opera di Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una crescita troppo vigorosa…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre si attua un semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le sanzioni agli Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a maggioranza qualificata.

Viene altresì introdotto il controllo esterno della nostra legge di Stabilità con presentazione della stessa a Bruxelles e possibilità per la commissione, entro due settimane dalla ricezione, di chiedere una revisione della stessa.

Il successivo Trattato sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio 2012, n. 114 non fa altro che ribadire tale disciplina prevedendo la raccomandazione per gli Stati di inserire, preferibilmente in Costituzione, il pareggio in bilancio cosa che l’Italia ha immediatamente fatto con la modifica dell’art. 81 del 2012.

L’Italia sotto la spinta del Governo collaborazionista del sempre citabile Mario Monti, con legge Costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012, ha immediatamente cancellato la sovranità dello Stato Italiano in favore dell’Unione Europea. Il nuovo art. 81 Cost. recita: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.

Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.

Ogni politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al bando nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione dell’art. 47 Cost. Con la riforma costituzionale si è verificato addirittura un contrasto interno tra norme di rango costituzionale che ovviamente deve essere risolto in favore dei principi fondamentali rendendo illegittimo proprio l’art. 81 Cost. che non può essere applicato anche in assenza di qualsivoglia revisione della norma.

La salvezza nazionale nasce dunque dalla consapevolezza delle cause della crisi su cui oggi vi ho informato. Quanto accade non è un evento imponderabile ma un’azione volontaria di cui non tutti i politici possono vantarsi di essere ignari ed inconsapevoli, a cui abbiamo il dovere di ribellarci informando e denunciando e perché no, riempiendo le piazze pacificamente, affinché lo stupro della Costituzione cessi e tutto questo in ossequio del diritto/dovere di tutti noi di difendere la patria (Art. 52 Cost.).

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Avv. Marco Mori, autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile on line su ibs