Feb 05

La Costituzione tradita. I Trattati UE sono illegittimi.

 

Abbiamo due tipi di ragionamento da portare avanti quando si analizza la compatibilità tra Trattati UE e Costituzione.

Il primo è ovviamente la stessa legittimazione all’ingresso dei Trattati nel nostro ordinamento, il secondo è di puro merito. Ovvero superata la pregiudiziale è da valutare anche se il modello economico codificato nei Trattati sia o meno compatibile con quello previsto nella nostra Costituzione.

Entrambe le risposte sono ampiamente negative. I Trattati sono entrati nel nostro ordinamento attraverso le leggi di ratifica. Tali leggi di ratifica sono incostituzionali in quanto costituiscono cessioni non consentite di sovranità e impongono, anche nel merito, un modello economico diametralmente opposto a quello previsto e voluto dai padri costituenti.

Per i meno informati blocco sul nascere la più classica delle obiezioni. Ovvero quella che, in base all’art. 10 Cost., i Trattati siano sovraordinati alla nostra Costituzione. Ciò è falso.

I Trattati sono subordinati ai diritti inviolabili dell’uomo ed ai principi fondamentali della nostra carta.

Questo è stato da ultimo ribadito dalla Corte Costituzionale anche con la recentissima sentenza n. 238/2014, molto specifica in materia dei cd. “controlimiti”.

Dunque non vi è dubbio che i Trattati debbano essere compatibili con la Costituzione e dunque con gli artt. da 1 a 12 e con quelle stesse norme che sono diretta esplicazione degli stessi principi fondamentali dell’ordinamento e dunque che costituiscono i cardini della stessa forma Repubblicana dello Stato, principi che non è neppure possibile sottoporre a revisione costituzionale. In essi si deve necessariamente ricomprendere anche il modello economico codificato nella nostra carta.

Partiamo dal considerare in senso proprio la prima questione.

I Trattati UE costituiscono pacificamente cessioni di sovranità. Ovvero l’Italia, in base ai Trattati, non ha più potestà legislativa e d’imperio almeno in due materie chiave per una Nazione, ovvero quella economica e quella monetaria.

Sul punto è la stessa UE ad ammettere che l’adesione ad essa comporta una cessione di sovranità, nessuno ormai nega più tale circostanza.

Vi porto ad esempio una missiva del 16.10.2014 scaturita da un cittadino, che traendo spunto dal mio lavoro, ha autonomamente interpellato le istituzioni europee ottenendo questa piena confessione: I Trattati sull’Unione europea, nonché le cessioni di sovranità che essi comportano, sono stati approvati dai Governi degli stati membri.

Benché le cessioni siano dunque ammesse esaminiamo le norme al fine di averne piene dimostrazione.

Riguardo alla materia monetaria si possono citare i seguenti articoli:

-Articolo 127 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 105 del TCE)

2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:

definire e attuare la politica monetaria dell’Unione,

-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 106 del TCE)

1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote.Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.

Lo Stato dunque rinuncia a poter stampare direttamente, cosa che non faceva già precedentemente all’UEM. Certamente quello che prima era una libera scelta su cui il popolo poteva sovranamente intervenire oggi è un’imposizione, oggi siamo in presenza di una cessione permanente di sovranità.

-Articolo 130 TFUE

(ex articolo 108 del TCE)

Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.

Ovvero si è codificata la dottrina dell’indipendenza della Banca Centrale, dottrina che ovviamente non ha ragione di essere.

Peraltro, anche nel merito, tale norma si pone in insanabile contrasto con l’art. 47 Cost. che prevede che la Repubblica debba disciplinare, coordinare e controllare il credito. Oggi è vero il contrario.

Dal 2011 è BCE, come prova la famosa lettera che causò la caduta del governo Berlusconi, ad ordinare le politiche economiche ai Governi, BCE scrive l’agenda delle riforme!

-Articolo 123 (versione consolidata TFUE)

(ex articolo 101 del TCE)

1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.

Norma questa che oltre ad essere prova di pacifica cessione di sovranità monetaria fa immediatamente comprendere quanto ridicolo ed inutile sia il QE lanciato da Mario Draghi. Esso aumenta unicamente la forza dei mercati e degli speculatori con danno, sempre maggiore, per l’economia reale che non vede un singolo centesimo della moneta emessa dalla Banca Centrale. Il QE dovrebbe andare agli Stati per abbassare pressione fiscale e sostenere la domanda interna con investimenti mirati, ciò accadrebbe se la Banca Centrale potesse acquistare le obbligazioni nazionali e lo Stato governasse autonomamente anche il suo deficit in conformità con il già citato art. 47 Cost. Tutto questo non avviene per la conseguente cessione della sovranità economica.

Ma torniamo per un momento alla Costituzione, perché affermo con assoluta certezza l’illegittimità delle cessioni di sovranità?

Perché l’art. 1 Cost. recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Espressione della sovranità è chiaramente il diritto di voto che noi non esercitiamo in maniera libera, eguale e personale dal 2005, ovvero dall’avvento del porcellum legge da poco dichiarata incostituzionale (Con sentenza n. 1/2014). Ma ovviamente il diritto di voto, anche qualora svolto in maniera legale, non consente la piena realizzazione di quella sovranità popolare che la Costituzione prevede allorquando la sovranità è già stata previamente ceduta. La stessa Cassazione con sentenza n. 8878/14 ha certificato la greve alterazione della rappresentanza democratica nel nostro paese.

In merito ai limiti della sovranità occorre leggere invece l’art. 11 Cost.: “La Repubblica consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli”.

Orbene la Repubblica consente semplicemente le limitazioni e giammai le invocate ed attuate cessioni. Lapalissiano che cedere è cosa ben diversa dal limitare. Limitare significa chiaramente omettere di esercitare una prerogativa sovrana ma non consegnare quella prerogativa sovrana ad un soggetto terzo rispetto all’ordinamento italiano.

Un esempio: eliminare le barriere doganali costituisce pacificamente una mera limitazione. Far gestire le barriere doganali ad un ordinamento straniero comporterebbe invece una cessione.

In materia monetaria l’indipendenza della BCE esclude che l’Italia disponga ancora di qualsivoglia forma di sovranità sul punto.

Altresì, fermo il divieto pacifico di cessioni, anche per le mere limitazioni di sovranità la Costituzione pone comunque il vincolo delle condizioni di parità tra le nazioni (esistono oggi queste condizioni? Certamente no, basta solo pensare alle differenze con cui ogni Stato si finanzia, alle differenze nella bilancia dei pagamenti, alle differenze in tema di politica fiscale) ed il vincolo di scopo della limitazione finalizzata alla pace e la giustizia tra le nazioni che ovviamente nulla centra con un’unione monetaria ed economica.

Come vedete l’inquadramento Costituzionale è addirittura banale stante il significato letterale dei termini. Dunque, appurato, senza tema di smentita che i Trattati costituiscono una cessione di sovranità monetaria risulta già provato che gli stessi non sono compatibili con la Costituzione.

Entriamo ora nel secondo aspetto. Ovvero il merito del contenuto dei Trattati e dunque entriamo nell’ulteriore cessione di sovranità compiuta, quella in materia economica.

Partiamo dall’esaminare brevemente e davvero succintamente il modello Costituzionale, che apprezzabilmente il Presidente Mattarella ha menzionato nel proprio discorso di insediamento.

Nuovamente si ricomincia dall’art. 1 Cost., ovvero dal principio che il lavoro non è semplicemente un diritto come ribadito dal successivo art. 4 ma che la Repubblica si fonda sul lavoro.

Tale costruzione della Repubblica comporta anche l’obbligo per la stessa di rimuovere gli ostacoli che impediscano l’effettivo diritto di tutti i lavoratori di partecipare alla vita economica e sociale del paese.

La Repubblica poi riconosce all’art. 2 Cost., assieme ai diritti inviolabili dell’uomo, gli inderogabili doveri di solidarietà economica e sociale.

Tali enunciazioni non sono meri e vuoti principi di facciata ma naturalmente si riflettono nella parte economica della Carta che detta il modello che necessariamente lo Stato deve seguire.

Il modello è quello di un libero mercato, dove tuttavia l’interesse pubblico deve sempre prevalere, proprio come natura esplicazione dei diritti fondamentali enunciati, sul profitto privato (art. 41 Cost.). Dunque il modello Costituzionale è quello di un libero mercato dove lo Stato può sempre intervenire laddove diritti di rango Costituzionale superiori siano minacciati. Per fare ciò si è addirittura previsto ex art. 43 Cost. che: “Ai fini dell’utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori (omissis…) che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse nazionale”.

Dunque lo Stato deve intervenire quando l’iniziativa privata mina i diritti inviolabili gerarchicamente sovraordinati al libero mercato tra cui il lavoro stesso ed ovviamente la vita.

Al fine di rendere possibile tale illuminato progetto costituzionale lo Stato doveva munirsi di strumenti adeguati ed ecco che entra in gioco il già citato art. 47 Cost. con il conseguente ruolo giuridico del deficit.

La comprensione della contabilità pubblica, di quel modello di contabilità pubblica oggi cancellato dai Trattati, è ormai un’emergenza e non solo un urgenza.

Bisogna comprendere il ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale

L’art. 47 primo dispone: La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il creditoFavorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese.

La definizione di risparmio è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.

Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” parte ovviamente dalla sua creazione.

Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventa una mera utopia non essendo più realizzabile matematicamente.

Uno Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio in tutte le forme ma lo rende impossibile ex lege. Un lavoratore che non può risparmiare non potrà avere conseguentemente un’esistenza libera ne tanto meno dignitosa

Il concetto sembra solo in apparenza contro intuitivo, anche per i giuristi. Ciò accade in quanto anche noi professionisti siamo soggetti a forme di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno fertile laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un pensiero del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in diritto.

Orbene deve essere chiarito fino a rendere il concetto pacifico per tutti, esattamente come è oggi pacifico affermare che la terrà non è piatta, che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia.

Un’azienda crea risparmio facendo attivo, lo Stato invece può crearlo per i propri consociati unicamente attraverso il proprio passivo, ovvero immettendo più moneta di quanta ne drena. Lo Stato secondo il modello costituzionale dunque è la figura che regolamenta le principali variabili macroeconomiche del paese lo Stato appunto deve: “disciplinare, coordinare e controllare il credito”.

Lo Stato in definitiva deve immettere moneta nel circuito economico.

Una moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa di diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi adottato), oppure attraverso le esportazioni.

Oggi la stampa diretta di moneta e la spesa pubblica sono precluse dai Trattati UE e dunque ci rimane solo la via dell’esportazione, dunque la base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da altre nazioni (esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).

Viene altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro paese può tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque per farlo deve acquisire la tanto decantata (Monti docet) maggiore competitività ottenibile solo passando dalla svalutazione salariale, ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto prevede il modello costituzionale.

I salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – Mario Monti). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.

Il modello Costituzionale dunque consacra il ruolo del deficit al fine della piena occupazione che si attua con la piena sovranità monetaria. A quel punto lo Stato non potrà mai fallire decidendo autonomamente la propria spesa e dunque la quantità di moneta che si emette nel sistema.

La spesa tutta, compresa quella brutta sporca e cattiva, è credito per tutti noi. Anzi per essere più chiari è il nostro reddito.

Il modello costituzionale dunque è un modello Keynesiano che si pone in radicale contrasto con quello dei Trattati. Ancora una volte le norme sono più elequenti di ogni elucubrazione

-art. 127 TFUE

1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.

La stabilità dei prezzi viene prima del sostegno all’economia reale dunque. Di tale vincolo nel nostro modello Costituzionale non vi è traccia come non vi è traccia della prevalenza assoluta del libero mercato figlia della scuola austriaca che prevede che, alla fine, senza regole, si arriverà al punto di equilibrio economico. Trattasi di una panzana di proporzioni cosmiche che nasconde invece un ben diverso interesse, quello di cancellare gli Stati per sostituirvisi, in definitiva lo si fa per il potere.

Ma veniamo alla morte dell’art. 47 Cost., all’omicidio della democrazia essa si manifesta con il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht “Sulle procedure di disavanzo eccessivo” inaugura concetti tristemente noti, tra gli altri:

-il vincolo del 3%per il rapporto tra disavanzo pubblico e pil

-il vincolo del 60% nel rapporto fra debito pubblico e pil

Ovviamente già con tali criteri si verifica esattamente quanto sin d’ora dibattuto ovvero la cancellazione della tutela del risparmio visto che si costringe l’Italia a tassare più di quanto spende. Il limite del 3% del PIL è superato già dal semplice computo degli interessi sul debito pubblico. L’Italia infatti ha collezionato avanzi primari in serie in questi anni (ovvero ha avuto una spesa pubblica inferiore alle entrate fiscali) e la conseguenza di ciò non è stata vedere i propri conti in ordina ma esattamente l’opposto, l’Italia è morta di avanzo primario. Invece che favorire il risparmio, lo si cancella gradualmente abbassando di anno in anno la quantità di moneta presente nell’economia reale italiana.

Nel novembre 2011, dopo che il protocollo 12 ha già gettato l’Europa nella miseria, abbiamo addirittura assistito l’inasprimento del patto di stabilità e crescita con una serie di Regolamenti (il cui padre fu il mai applicato Reg. 1466/97) meglio noti con i nomi di Six Pack e two pack, dove si codifica ciò che vedete avvenire in questi giorni, ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità ad opera di Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una crescita troppo vigorosa…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre si attua un semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le sanzioni agli Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a maggioranza qualificata.

Il successivo Trattato sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio 2012, n. 114 non fa altro che ribadire tale disciplina prevedendo la raccomandazione per gli Stati di inserire, preferibilmente in Costituzione, il pareggio in bilancio, cosa che l’Italia ha immediatamente fatto con la modifica dell’art. 81 del 2012.

Ogni politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al bando e nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione tacita dell’art. 47 Cost.

Oggi la Repubblica Italiana non tutela più lavoro e risparmio ma tutela unicamente il totem della forte competitività del mercato e della stabilità dei prezzi, si è sostanzialmente tornati ad un modello giuridico arcaico che farebbe certamente inorridire i padri costituenti. Un modello ovviamente illegittimo data la manifesta superiorità dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo sul diritto internazionale come ribadito dalla recentissima (e splendida) sentenza n. 238/2014 della Corte Costituzionale. Il fatto che uno dei Giudici fosse proprio Mattarella fa sperare che qualcosa possa cambiare, benché la fede del Presidente nell’Europa sembri essere consolidata ben oltre i veri meriti di questa UE.

Il fine di tale abominio normativo? E’ la cancellazione dell’Italia come paese sovrano ed indipendente. La privazione della personalità giuridica del paese.

Qualcuno lo ha confessato:

Monti in particolare disse qualcosa di davvero sconcertante che mi piace ricordare ai lettori con frequenzai: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. costrizione traducendo in Italiano) rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale”.

Altri si sono aggiunti dopo Monti, da Napolitano a Draghi per arrivare a Matteo Renzi.

Tutti questi soggetti vanno fermati! E se avrete la pazienza di diffondere queste informazioni riusciremo nel nostro intento.

Andiamo avanti!