Ott 03

O i politici imparano la macroeconomia o siamo finiti…

L’attuale livello di comprensione della classe politica italiana delle basi della macroeconomia e della contabilità pubblica è a dir poco imbarazzante. Trattasi di questioni non percepite dall’opinione pubblica che anzi, a causa del continuo bombardamento di informazioni errate, è ormai persuasa che lo Stato vada gestito come una famiglia, attraverso il pareggio in bilancio.

Tale vizio di comprensione (ciò non vale per chi tira le fila che è in ovvia malafede) ha finito con lo spogliare lo Stato del suo naturale potere d’imperio, mettendolo in una condizione di inferiorità rispetto a qualsivoglia potere economico. Voglio provare ancora una volta, con la preghiera ai lettori di diffondere questo articolo, a far comprendere i rudimenti della macroeconomia a chi continua a rifiutarli.

La moneta non è un bene naturale. E’ una creazione umana, un mezzo convenzionale alternativo al baratto per lo scambio di beni o servizi. La moneta dunque non si cerca sotto terra, non si trova sugli alberi, né si cerca in fondo al mare e neppure alla fine dell’arcobaleno. La moneta, sia quella elettronica che cartacea, è esclusivamente una nostra creazione, la quantità complessivamente disponibile di moneta nel sistema economico è esclusivamente una scelta politica.

Vi garantisco che gran parte della gente non conosce questo concetto, molti non si sono mai neppure posti il problema dell’esistenza della moneta, altri invece, messi davanti a questa verità incontestabile, richiamano al gold standard, ovvero ai tempi in cui la moneta emessa era convertibile in oro e l’oro era la garanzia alla base per poterla emettere. Il sistema aureo è in realtà abolito fin dagli accordi di Bretton Woods del 22 luglio 1944 allorquando gli Anglo/Americani, capitalizzando la vittoria bellica, imposero il dollaro come unica valuta di riserva globale, solo il dollaro rimaneva convertibile in oro. Gli USA ovviamente, grazie all’accordo che rendeva il dollaro valuta egemone in tutto il mondo, crearono moneta a prescindere dall’oro realmente detenuto e nel 1971 abbandonarono ogni residuo pudore sospendendo la convertibilità. Da tale data la moneta viene emessa, anche giuridicamente, senza alcun controvalore di riserva.

Le norme del TFUE (trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) sanciscono tale assetto, l’euro è infatti creato liberamente dalla Banca Centrale Europea senza regole di tipo quantitativo, ma con due singolari particolarità:

1) il divieto di creare moneta per finanziare la spesa pubblica degli Stati, aspetto unico per qualsivoglia Banca Centrale;

2) L’indipendenza delle scelte della Banca Centrale che non può neppure prendere consigli dai parlamenti nazionali e da quello europeo.

L’Italia si è così spogliata della sovranità monetaria venendo retrocessa al ruolo di qualsivoglia soggetto privato e come tale soggetta alle pressione dei mercati del capitale internazionali. Fondamentale comprendere e far comprendere dopo questa premessa che la quantità di moneta in un’economia non è affatto una scelta neutra. Se abbiamo troppa poca moneta in un sistema (è la situazione attuale) o se ne abbiamo troppa, il Paese nel suo complesso inizia a funzionare in maniera scorretta o addirittura arriva al collasso, esattamente come accade in un corpo umano con il sangue. In particolare se la moneta è troppa i prezzi salgono spingendo a spirali inflattive, se la moneta è troppo poca non c’è domanda di beni e servizi, la produzione si ferma e si crea disoccupazione.

Compresa la funzione della moneta occorre comprendere cosa sia il deficit e cosa sia il debito pubblico. Se lo Stato in un anno tassa meno di quanto spende si è in deficit, se fa il contrario si è in avanzo. La somma dei deficit annui prende poi il nome di debito pubblico. Con le regole europee abbiamo rinunciato a finanziare il deficit attraverso l’emissione di moneta da parte dello Stato per tramite di una banca centrale pubblica. Ma il deficit e il debito sono indispensabili per il funzionamento di un’economia essendo il modo con cui la moneta creata entra nelle tasche dei cittadini, il debito di Stato è sempre il credito del settore privato. Sentite dire dalla propaganda che l’Italia ha un alto debito pubblico ma anche grandi risparmi, ma è ovvio!

Le due variabili sono collegate ad un debito maggiore debito segue un aumento di liquidità nel settore privato, ergo un aumento dei risparmi. Le politiche di avanzo degli ultimi anni, ovvero con uno Stato che al netto degli interessi passivi, ha sempre tassato più di quanto ha speso, hanno drenato liquidità dal sistema e dai risparmi dei cittadini e ciò senza che alcun problema inflattivo giustificasse politiche monetarie restrittive, anzi eravamo nella situazione opposta. E’ l’Unione Europea ad averci tolto sia la sovranità monetaria che imposto, vincoli di bilancio, che non ci hanno consentito di fare spesa in deficit.

Proviamo a spiegare con un facile esempio, che ho fatto più volte anche in tv, quello che vi sto dicendo.

Clicca qui per vedere un mio intervento sul tema.

Facciamo finta di creare oggi un nuovo Stato che come tale si doterà di una sua valuta. La moneta chiaramente non esiste ancora nelle tasche dei cittadini, lo Stato nasce oggi. Per immetterla nel sistema e portarla nelle tasche dei cittadini la moneta deve prima essere creata e poi distribuita, il modo per farlo è proprio la spesa pubblica. Lo Stato costruirà strade, scuole, ospedali, pagherà stipendi ed il denaro, per definizione creato dal nulla, entrerà nelle tasche dei cittadini che cominceranno ad usarlo anche per attività a loro volta produttive di beni e servizi.

Se questo nuovo stato spenderà dieci al primo anno di esistenza e tasserà zero, avremo un deficit di dieci ed un debito pubblico di dieci. Se questo comportamento proseguirà per dieci anni avremo un debito complessivo di 100. Parimenti il credito del settore privato corrisponderà anch’esso a 100. Il dato contabile convenzionale potrebbe poi in ogni caso, con sovranità monetaria, essere sterilizzato attraverso la “monetizzazione del debito”. Ovviamente in un mondo di economie aperte anche la bilancia commerciale inciderà sulla moneta disponibile, aumentando la quantità nel nostro sistema se esporteremo più di quanto importiamo o riducendola in caso contrario. Ma la realtà complessiva della situazione non cambia, a livello globale il debito mondiale totale è pari alla ricchezza privata complessiva (salva l’ulteriore bolla espansiva che possono porre in essere le banche commerciali che non tratterò in questa sede ma che non cambiano i termini della questione, semplicemente in quel caso il passivo sarà nei bilanci degli istituti di credito anziché degli Stati).

Insomma quando c’è un debitore, c’è anche un creditore.

Fin qui è tutto molto chiaro e semplice. Nella realtà gli Stati ricorrono però anche ad un indebitamento sui mercati, ovvero emettono obbligazioni che di sovente sono acquistate da operatori stranieri per finanziare la propria spesa. Anche tale debito è assolutamente irrilevante finché può essere pagato con una moneta che è possibile creare dal nulla, ovvero con la propria. Se questo debito è contratto invece in una moneta che non può essere emessa lo Stato perde la sua sovranità e diventa ricattabile da chi ne detiene il debito. Un meccanismo semplicissimo questo, che evidenzia la banalità del male, ed il modo con cui i poteri economici sovranazionali hanno preso il controllo delle democrazie in una sorta di restaurazione oligarchica. Le richieste poi dei gruppi economici sono ovvie, far arretrare lo Stato che viene smantellato (si vedano le privatizzazioni), per detenere sempre più fette di mercato e di conseguente potere, anche e soprattutto politico.

Tali concetti sono ignorati dalla maggior parte della classe politica che tuttavia ignora anche i rudimenti della contabilità pubblica ad esempio invocando, come se vivessimo nella keynesiana parodia dell’incubo del contabile, la necessità di tagliare la spesa per crescere. Ma nulla è più recessivo del taglio della spesa pubblica (pensate che è meno recessivo l’aumento delle tasse!), anche in un sistema privo della sovranità monetaria. In sostanza se si taglia la spesa si taglia il PIL con buona pace di chi dice che l’austerità può essere espansiva, trattasi ancora una volta di ignoranza o di malafede. Il pil viene calcolato infatti sommando la spesa pubblica, i consumi e il saldo della bilancia commerciale (esportazioni/importazioni). Se si aumenta la spesa pubblica si aumenta il PIL e siccome chi riceve spesa pubblica poi ne spenderà una parte in consumi, l’incremento di un euro di spesa farà crescere il PIL in misura maggiore di uno. Ergo aumentando la spesa si riduce il rapporto deficit/pil (perché aumentando il deficit il PIL aumenterà in misura maggiore) ed il rapporto debito/pil (perché aumentando il debito il PIL aumenterà di più).

La realtà non potrebbe essere più semplice di così, chi invoca la ripresa senza spesa pubblica è qualcuno che prova ad alzare un secchio tenendoci i piedi dentro. Ciò che conta ovviamente è il differenziale tra spesa e tassa. Cioè l’effetto benefico sul PIL della spesa sarebbe demolito se si intendesse ricorrere alla tassazione per coprire le maggiori spese, con buona pace del demenziale concetto delle “coperture”… Occorre fare deficit massicci per ridurre il rapporto deficit/pil e debito/pil, con conseguente riflesso nel mondo reale che avendo più soldi a disposizione vedrebbe ripartire consumi e produzione.

Tra l’altro il modo migliore per fare spesa pubblica è pagare stipendi pubblici con un massiccio piano di assunzioni per fare tutte quelle cose di cui abbiamo bisogno, dalle più semplici alle più qualificate. Una spesa in stipendi di 100 miliardi porterebbe ad un aumento del PIL anche vicino ai 200 con ripartenza dei consumi e dunque ripartenza del settore privato. Sic et simpliciter! Come diceva Keynes le menti di questa generazione sono così offuscate che ormai diffidano delle soluzioni più semplici, perdendosi in assurdi calcoli di un’immaginaria rendita finanziaria.

Va considerato un ultimo aspetto, e qui torniamo all’importanza della sovranità monetaria piena. Il problema degli interessi passivi sul debito è reale laddove il debito non è denominato in una moneta che puoi emettere dal nulla e dunque non è monetizzabile in ogni momento dalla Tua banca centrale che può contenerlo (ad esempio con interessi inferiori al tasso di inflazione o negativi) o anche sterilizzarlo in tutto o in parte. In sostanza con l’andare del tempo pagheremo un livello sempre crescente di interessi passivi sulle obbligazioni emesse. Dunque sicuramente è vero che le politiche espansive ci farebbero uscire dalla crisi anche dentro le folli regole europee, ma in futuro la coperta, senza sovranità monetaria, diventerebbe prima o poi troppo corta. Ci troveremo innanzi ad un deficit che in gran parte finirebbe in mano straniere e non impatterebbe sul Pil e sulla ricchezza del nostro Paese, anzi finirebbe con lo strangolarci imponendo tra l’altro politiche espansive probabilmente eccessive che abbatterebbero il valore complessivo della moneta.

Peraltro non è pensabile che tutta la moneta emessa per la collettività diventi un debito reale e via via crescente nel tempo, si entra così facendo in un sistema sistemico di usura che non è accettabile (da questo punto di vista, ed in estrema sintesi, le tesi “signoraggiste” sono fondamentalmente corrette seppur tecnicamente insufficienti per sostenere un dibattito pubblico con i nostri aguzzini).

Se solo la classe politica leggesse e capisse queste parole, avremo ancora una speranza… come Keynes spendo il mio tempo, in parte vanamente, per provare a recuperare anche le menti perdute della mia generazione…

Marco Mori, Italexit per l’Italia.

Da oggi potete sostenere la mia attività con una libera donazione: https://www.paypal.me/italexitmori?locale.x=it_IT