Mag 28

La cessione di sovranità è illecita: come promesso la battaglia continua in Cassazione

Come promesso nonostante la condanna estremamente punitiva della Corte d’Appello di Genova in termine di spese legali di soccombenza non ci siamo fermati, anche grazie ai Vostri contributi con cui una parte importante delle spese sono state coperte.

Assieme all’amico e Collega Giuseppe Sottile, abbiamo dato corso al ricorso in Cassazione per la riforma della sentenza con cui incredibilmente la Corte genovese ha affermato che la cessione di sovranità nazionale è legittima in base all’art. 11 Cost.

Anche per il giudizio di Cassazione vi chiedo il vostro contributo, sia divulgando questa fondamentale azione con cui si mira all’Italexit con sentenza, sia in termini economici date le ingenti spese che sto sostenendo. Chi volesse contribuire può contattarmi alla mail mrc.mori@libero.it

Intanto godetevi la lettura del ricorso notificato all’avvocatura di Stato. Come sempre gli sviluppi dell’azione saranno pubblicati su questa pagina. Ciò che è certo che a questo punto la Cassazione dovrà una volta per tutte dibattere sul tema delle cessioni di sovranità conseguenti all’adesione dell’Italia all’UE e di come tale cessione possa essere valutata anche dal punto di vista penale. Comunque vada a finire credo che stiamo tentando di scrivere, nel silenzio generale ovviamente, una pagina importante della storia della resistenza alla dittatura finanziaria.

Ecco il testo del ricorso:

Nell’interesse di…………., ed ai fini del presente giudizio di Cassazione elettivamente domiciliata in Rapallo, Corso Mameli 98/4 presso lo studio e la persona dell’Avv. Marco Mori del foro di Genova ( C.F. MRO MRC 78P29 H183L – Pec: studiolegalemarcomori@pec.it) e rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Sottile del Foro di Barcellona Pozzo di Gotto, Patrocinante in Cassazione (C.F.: STT GPP 71L29 A638V – PEC: studiolegale.sottile@pec.giuffre.it), con studio in Barcellona Pozzo di Gotto (ME), Via Quasimodo n. 11, in virtù di mandato in calce al presente atto

Ricorrente

CONTRO

La Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente protempore, il Ministero dell’Interno in persona del Ministro protempore, il Ministero degli Affari Esteri in persona del Ministro protempore tutti presso l’Avvocatura Generale dello Stato corrente in Roma,

per la cassazione

della sentenza d’appello n. 99/2021 della Corte d’Appello di Genova, in persona del Presidente Dott.ssa Carmela Alparone, del Consigliere Dott.ssa Angela Latella e del Consigliere relatore Dott.ssa Maria Laura Morello, n.r.g. 909/17 del 20.01.2021 e depositata in Cancelleria in data 28.01.2021, notificata all’esponente il 26 aprile 2021 unitamente ad ordinanza di correzione materiale della stessa Corte d’Appello di Genova (doc. 2-3).

Valore della controversia: ai fini della normativa sul contributo unificato – d.p.r. 115/2002 successive modificazioni – Ai sensi dell’art. 9 comma 5 L.466/88 si dichiara che il valore della causa è inferiore ad € 5.100,00 pertanto il contributo unificato da versare è pari ad € 196,00.

SINTESI DEI MOTIVI:

I) PRIMO MOTIVO (pagg. 10-24): violazione di legge ex art. 360, comma 1° n.3 con specifico riferimento agli artt. 1, 11 e 47 Cost. e all’art. 243 c.p. laddove si è ritenuto che la cessione di sovranità compiuta attraverso i trattati istitutivi dell’Unione Europea specificatamente entrati nel nostro ordinamento con le leggi di ratifica dei trattati di Maastricht e di Lisbona (Legge n. 454/1992 e Legge n. 130/2008), sia un atto consentito ex art. 11 Cost. mentre detta norma costituzionale acconsente unicamente alle limitazioni di sovranità e alle precise condizioni previste dalla norma. La cessione di sovranità non è consentita costituzionalmente ex artt. 1, 11 e 47 Cost. ed è addirittura punita penalmente ai sensi dell’art. 243 c.p.;

II) SECONDO MOTIVO (pagg. 24-31) violazione di legge ex art. 360, comma 1° n.3 con specifico riferimento all’art. 2 Cost. laddove si è escluso che il diritto plurisoggettivo alla sovranità attenga ai diritti inviolabili dell’uomo così negando la possibilità di agire in giudizio anche per la mera rimozione della situazione lesiva in essere determinata dalle illecite cessioni di sovranità compiute attraverso i trattati internazionali di cui si dibatte e ciò a prescindere dalla pur formulata richiesta di risarcimento avanzata dall’esponente per violazione di tale diritto.

* * *

SINTESI IN FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO:

1. Con atto di citazione 15.10.2014 ritualmente notificato, l’esponente conveniva in giudizio davanti al Tribunale Civile di Genova la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno ed il Ministero degli Affari Esteri per sentire accogliere le seguenti conclusioni:

Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, per le causali di cui in narrativa, accertare che l’esponente non ha potuto esercitare, per i motivi tutti di cui in narrativa, il diritto plurisoggettivo della sovranità conformemente al combinato disposto degli artt. 1 e 11 Cost. e conseguentemente condannare, eventualmente anche in solido tra loro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del presidente protempore, il Ministero dell’Interno in persona del Ministro protempore, il Ministero degli Esteri tutti presso l’Avvocatura Generale dello Stato corrente in Genova, Viale Brigate Partigiane n. 2 a risarcire il danno non patrimoniale conseguente alla lesione del diritto plurisoggettivo della sovranità esercitato per il tramite il diritto di voto e ciò in forza delle norme di rango costituzionale citate ed ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 89 cost., 2043 c.c., 1 L. n. 400/1988 ovvero per le altre norme meglio viste e ritenute tra cui anche gli artt. 241 e ss. c.p., con quantificazione in via anche equitativa o nella misura che sarà determinata in corso di causa secondo il prudente apprezzamento del Giudicante ed in ogni caso non superiore alla somma di € 5.100,00.

In ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali”.

2) L’avvocatura di Stato si costituiva chiedendo il rigetto delle domande avanzate;

3) L’esponente, a fondamento della lamentata lesione della propria sovranità, diritto plurisoggettivo che si esercita per tramite il voto, rammentava che l’art. 1 Cost. recita: “l’Italia è un Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”;

4) I suddetti limiti sono disciplinati, per quanto concerne l’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento, nell’art. 11 Cost. il quale testualmente dispone: “(..) l’Italia (…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”;

5) Da tale norma consegue senza tema di smentita che le cessioni tout court di sovranità sono illegittime sotto il profilo Costituzionale trovando addirittura, nei casi più gravi, punizione in ambito penale sotto la rubrica “dei delitti contro la personalità dello Stato” ex art. 241 e ss c.p. (dopo la riforma avvenuta con L. 24 febbraio 2006 in particolare si veda l’art. 243 c.p. di cui si dirà infra). Altrettanto illegittime sono anche le semplici limitazioni di sovranità allorquando sono compiute in assenza di condizioni di parità tra le nazioni e per fini che nulla rilevano circa il raggiungimento della pace e della giustizia tra i popoli, così come previsto ex art. 11 Cost.;

6) Nonostante la chiarezza del dettato Costituzionale il nostro paese è stato spogliato della sovranità monetaria ed economica, in tali campi non ha più alcuna voce in capitolo e divieto assoluto di legiferare (cfr. artt. 2 e 3 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) proprio in forza del “vincolo esterno” imposto con l’illegittima ratifica del Trattato di Maastricht (Legge n. 454/1992), di quello di Lisbona (Legge n. 130/2008);

7) Specificatamente l’art. 2 TFUE recita: “Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare ed adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione o per dare attuazione agli atti dell’Unione”;

8) L’art. 3 elenca invece appunto le materie in cui la sovranità è stata ceduta ed il popolo non ha più voce in capitolo:L’unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori: a) unione doganale; b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; c) politica monetaria per gli Stati membri di cui la moneta è l’euro; d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; e) politica commerciale comune.

L’unione ha inoltre competenza esclusiva per le conclusioni di accordi internazionali (…)”;

9) La Corte Costituzionale, con sentenza n. 284/2007, ha già avuto modo di affrontare elegantemente il tema, generalmente poco conosciuto anche dagli operatori del diritto, dei limiti all’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento così motivando: “Ora, nel sistema dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi, in forza dell’art. 11 della Costituzione soprattutto a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno quando egli non abbia dubbi – come si è verificato nella fattispecie – in ordine all’esistenza del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona (da ultimo con ordinanza n. 454/2006”. In claris non fit interpretatio;

10) Vale la pena ribadire anche in sede di Cassazione che con la perdita delle prerogative sovrane in materia monetaria ed economica è divenuto impossibile per lo Stato anche promuovere la piena attuazione di tutti i diritti fondamentali riconosciuti nella nostra Carta fondamentale. Con la cessione della sovranità nazionale è stata la stessa Costituzione a diventare lettera morta;

11) L’esponente dunque ha agito in giudizio poiché, quale membro del popolo italiano, ritiene di aver subito la radicale cancellazione del diritto costituzionalmente tutelato della “sovranità”, diritto che ovviamente viene esercitato nelle forme e nei limiti costituzionalmente imposti ed in concreto attuato attraverso il diritto di voto. Il diritto alla sovranità è necessariamente plurisoggettivo, dunque interessa ogni cittadino italiano sul lato attivo, che avrebbe dovuto essere esplicato pienamente per tramite il voto eguale, libero e personale. Ciascuno dei soggetti titolari di tale diritto è ovviamente legittimato a richiederne la piena tutela giuridica e certamente è legittimato a chiedere l’accertamento puro di tale lesione ai fini della rimozione della lesione stessa e ovviamente il risarcimento del relativo danno;

12) L’interesse ad agire in questo giudizio non si radicava unicamente, questo va ben precisato, sul pur richiesto risarcimento del danno patito in forza della lesione del diritto costituzionale in parola, ma altresì anche sulla sola rimozione della situazione lesiva, attraverso la declaratoria di incostituzionalità, che passa ovviamente per rimessione degli atti alla Consulta, delle leggi di ratifica dei trattati internazionali summenzionati in quanto in radicale contrasto con gli artt. 1, 11 e 47 Cost.;

13) La lesione del diritto di voto, ovvero lo strumento naturale con cui si esplica la sovranità popolare, è stata già oggetto di cause nel recente passato. La legge elettorale n. 270/2005 fu ad esempio dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con pronuncia n. 1/2014;

14) La Cassazione con sentenza n. 8878/14, successiva proprio alla pronuncia della Corte Costituzionale, ebbe modo di ribadire la sussistenza dell’interesse e della legittimazione ad agire in capo a chi intendeva rimuovere una situazione lesiva di un proprio diritto costituzionale che nel caso di specie si era configurata attraverso una legge illegittima che aveva violato il diritto di voto: “l’accoglimento delle proposte questioni di legittimità costituzionale non ha esaurito la tutela invocata dai ricorrenti nel giudizio principale, che si può realizzare solo a seguito ed in virtù di una pronuncia con la quale il giudice ordinario accerta le conseguenze della pronuncia costituzionale e, in particolare se vi è stata una lesione giuridicamente rilevante del diritto di voto”;

Il caso di cui oggi si dibatte è analogo in tutto e per tutto a quello oggetto della pronuncia citata: se si perde la sovranità in determinate materie diventa assolutamente superfluo anche poter esercitare il diritto di voto secondo modalità legittime poiché il voto non ha più alcuna funzione concreta;

15) L’accertamento della lesione del diritto plurisoggettivo alla sovranità che oggi si continua a perpetrare passa necessariamente per il vaglio della legittimità costituzionale delle leggi di ratifica dei Trattati internazionali citati che hanno, pezzo dopo pezzo, comportato l’espressa cessione della sovranità nazionale;

16) Nel caso di specie sono dunque in gioco diritti costituzionalmente tutelati, diritti cancellati da un palese illecito civile e forse anche penale. Trattasi pertanto, da un punto di vista civilistico, di un’evidente responsabilità ex art. 2043 c.c. fondata su solide basi normative. Come noto il Ministro proponente di una legge assume la responsabilità giuridica dei propri atti ai sensi e per gli effetti dell’art. 89 Cost. Inoltre gli atti che hanno valore legislativo sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri che ne è direttamente responsabile;

17) Il danno non patrimoniale, fermo anche, lo si ribadisce, il solo interesse alla rimozione della situazione lesiva in essere, è certamente risarcibile laddove si è in presenza della lesione di un bene inviolabile previsto e protetto da una norma di rango costituzionale. Innegabile che la lesione del diritto plurisoggettivo alla sovranità esercitabile per tramite del diritto di voto abbia determinato in ogni cittadino un nocumento di natura morale economicamente apprezzabile, seppur oggettivamente di difficile quantificazione, come sempre nei casi di risarcimento del danno non patrimoniale relativo ad un bene immateriale, di cui è piena la casistica giurisprudenziale;

18) Il Tribunale Civile di Genova, il quale, con sentenza oggettivamente sorprendente, rigettava le domande di parte attrice proprio sul presupposto della non risarcibilità del danno paventato così ignorando completamente come vi fosse pieno interesse di questa difesa a rimuovere, a prescindere dal risarcimento del danno, gli effetti lesivi delle lamentate cessioni di sovranità;

19) Veniva promosso appello avverso la sentenza del Tribunale di Genova in base ai seguenti motivi che si trascrivono:

-1. Illegittimità, nullità e/o annullabilità della sentenza per radicale assenza di motivazione o comunque omissione e/o illogicità della stessa circa un punto decisivo della controversia ed in particolare laddove ha preso in considerazione la richiesta di parte attrice unicamente sotto il profilo risarcitorio, ignorando la domanda di accertamento della violazione degli artt. 1 ed 11 compiuta con la ratifica dei trattati internazionali di Maastricht, Lisbona e del cd. Fiscal Compact e relativa Legge Cost. n. 1/2012, ignorando dunque l’interesse dell’attore a rimuovere tale situazione lesiva a prescindere da ogni successiva determinazione circa il risarcimento del danno.

-2. Illegittimità, nullità e/o annullabilità della sentenza per manifesta e grave illogicità e irragionevolezza della sentenza, nonché violazione dell’art. 1 Cost., nel punto in cui dispone che: “l’art. 2 Cost. stabilisce che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la propria personalità”. Basandosi sulla lettera della predetta disposizione, può ritenersi che l’inviolabilità in esame si riferisca all’immanenza o alla vicinanza di taluni interessi al nucleo primario ed essenziale dell’individuo. Sul punto, occorre preliminarmente valutare la natura del diritto in questione, al fine di stabilire se possa essere ricompreso tra i c.d. “diritti inviolabili” della persona onde individuare poi la tutela ad esso riconducibile.

L’attribuzione della qualifica dell’inviolabilità ai diritti politici, quale è il diritto di voto previsto e tutelato dall’art. 48 Cost., rappresenta una questione controversa, in quanto è necessario che tali diritti siano bilanciati con specifici interessi pubblici e sociali, oltre ad essere sottoposti a determinate condizioni di esercizio stabilite dalla legge o dalla stessa Costituzione. Se è vero che i diritti inviolabili sono anzitutto diritti “umani”, cioè dell’uomo in quanto tale e non, ad esempio, in quanto cittadino, i diritti politici (omissis…) non dovrebbero farsi rientrare nella categoria delle situazioni giuridiche inviolabili riconosciute e protette dall’art. 2 Cost..
Questo argomento, svolto trattando il diritto di voto, a maggior ragione deve ritenersi applicabile alla quota di sovranità che fa capo ad ogni cittadino, perché questa si esercita tramite la partecipazione democratica all’organizzazione dello Stato attraverso la vita politica ed in questo senso permette a tutti i cittadini un controllo sulle scelte del Governo che lo Stato, attraverso i suoi organi legislativi e di governo, opera. La sovranità non è un diritto astratto, ma la quota di partecipazione alla democrazia che idealmente appartiene ad ogni cittadino e si esercita attraverso il diritto di voto che è personale, eguale e libero. Questo diritto la cui lesione è dedotta dall’attrice nel presente giudizio pertanto, non può essere ricompreso tra i diritti inviolabili di cui alla sopracitata disposizione costituzionale, proprio in considerazione della sua natura non strettamente personale”.

Riforma della sentenza nel senso di ritenere il diritto di sovranità che si esercita per tramite l’esercizio del diritto di voto un diritto inviolabile della persona per la ragione che il principio fondamentalissimo di “sovranità popolare” è contenuto nell’art. 1 e la sua violazione comporta in re ipsa non solo la violazione dell’art. 2 Cost., ma anche di tutti gli altri articoli e principi fondamentali a seguire e pertanto il riconoscimento di un danno non patrimoniale è indubbio ed incontestabile”;

20) La Corte d’Appello di Genova con la sentenza in oggi impugnata rigettava integralmente l’appello, quanto al primo motivo di gravame sancendo che l’ancoraggio costituzionale alle cessioni di sovranità compiute sarebbe proprio l’art. 11 Cost. così dimostrando di ignorare completamente il contenuto del precetto costituzionale invocato ed affermando (davvero incredibilmente) altresì che la violazione delle norme interne, anche di rango costituzionale, non determina comunque la illiceità della condotta dello stato e che anzi l’art. 7, comma 1 del c.p.a. preclude qualsiasi sindacato del Giudice amministrativo sugli atti politici;

21) Il secondo motivo d’appello veniva rigettato invece sul presupposto che la sovranità non sarebbe un diritto “personale” assumendo che l’appellante non lamentava la lesione di un diritto di voto di per sé considerato affermando altresì che l’appellante non avrebbe svolto alcun motivo d’appello avverso il capo della sentenza che riteneva l’assenza stessa dell’allegazione del danno ritenendo così preclusa la riforma della sentenza in riferimento al capo che nega il risarcimento del danno;

22) Ritenendo detta sentenza lesiva dei propri diritti ed interessi, il ricorrente interpone il presente ricorso per i seguenti

MOTIVI

I) PRIMO MOTIVO: violazione di legge ex art. 360, comma 1° n.3 con specifico riferimento agli artt. 1, 11 e 47 Cost. e all’art. 243 c.p. laddove si è ritenuto che la cessione di sovranità compiuta attraverso i trattati istitutivi dell’Unione Europea specificatamente entrati nel nostro ordinamento con le leggi di ratifica dei trattati di Maastricht e di Lisbona (Legge n. 454/1992 e Legge n. 130/2008), sia un atto consentito ex art. 11 Cost. mentre detta norma costituzionale acconsente unicamente alle limitazioni di sovranità e alle precise condizioni previste dalla norma. La cessione di sovranità non è consentita costituzionalmente ex artt. 1, 11 e 47 Cost. ed è addirittura punita penalmente ai sensi dell’art. 243 c.p..

L’interpretazione data dalla Corte d’Appello all’art. 11 Cost. è completamente e macroscopicamente erronea.

L’assunto della Corte in sostanza è stato quello di affermare che è proprio l’art. 11 Cost. a consentire l’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento e così a legittimare la ratifica di trattati che pur costituiscono palesi cessioni di sovranità.

Ma andiamo con ordine.

Partiamo con lo spiegare compiutamente perché si ritiene che i trattati costituiscano una cessione di sovranità anziché una mera limitazione consentita ex art. 11 Cost.

In merito alla versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea le norme di riferimento che qui interessano, in quanto non potevano essere ratificate, sono gli art. 2 e 3 oltre che, per quanto concerne la sovranità economica, il protocollo n. 12 TFUE ed il trattato fiscal compact con cui sono stati imposti vincoli di bilancio in materia di debito e deficit, ovviamente imposti in conseguenza dell’attribuzione esclusiva all’UE delle politiche monetarie.

L’art. 3 TFUE specifica le materie in cui il popolo italiano non ha più alcuna voce in capitolo, nelle quali l’unione ha competenza “esclusiva” tra di esse spicca per importanza appunto la lettera c) dell’articolo in parola che sottrae alla giurisdizione nazionale “la politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro”.

Il precedente art. 2 TFUE afferma come già detto: “Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare ed adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione o per dare attuazione agli atti dell’Unione”.

La piana lettura della norma è sufficiente per affermare che il Parlamento italiano non può prendere decisioni in materia di politiche monetarie, la creazione e l’emissione sovrana di moneta non sono più prerogative nazionali e lo stesso dicasi per i vincoli di bilancio collegati all’euro e disciplinati con il citato protocollo n. 12 TFUE ed il trattato cd. Fiscal Compact.

La domanda che a questo punto si pone all’attenzione di questa Suprema Corte di Cassazione è se tale assetto possa dirsi compatibile con l’art. 11 Cost.

Ovviamente non si vede come la risposta possa essere positiva.

Anzi a tale assetto non è neppure compatibile, come rilevato in corso di causa, anche con l’art. 47 Cost. che prevede che la Repubblica disciplini, coordini e controlli il credito.

Evidente che l’assenza di competenze di politiche monetarie, su cui il Parlamento ha addirittura il citato divieto assoluto di legiferare, esclude che la Repubblica possa disciplinare, coordinare o controllare alcunché.

L’art. 130 TFUE addirittura sancisce la totale indipendenza della Banca Centrale disponendo che “nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti (…) attribuiti dai trattati (..) né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai Governi degli stati membri né da qualsiasi altro organismo”.

La radicale incostituzionalità di tale assetto, che codifica la cd. dottrina dell’indipendenza della banca centrale, appare palese visto che così si sottrae alla democrazia ogni attribuzione in termini di politica monetaria ed economica.

Per smentire che l’art. 11 Cost. autorizzi acriticamente la ratifica di trattati internazionali basta rammentare la giurisprudenza più recente della Corte Costituzionale che sorprendentemente la Corte d’Appello di Genova ha radicalmente ignorato nelle proprie motivazioni.

Precisamente con sentenza n. 238/14 la Consulta ha affermato che: Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)”.

Ed ancora, confermando anche il concetto di limitazione fatto proprio dallo scrivente, la Corte afferma:Anche in una prospettiva di realizzazione dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati ai principi di pace e giustizia, in vista dei quali l’Italia consente a limitazioni di sovranità (art. 11 Cost.), il limite che segna l’apertura dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazionale e sovranazionale (artt. 10 ed 11 Cost.) è costituito, come questa Corte ha ripetutamente affermato (con riguardo all’art. 11 Cost.: sentenze n. 284 del 2007, n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973; con riguardo all’art. 10, primo comma, Cost.: sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 48 del 1979; anche sentenza n. 349 del 2007), dal rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo, elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale.

Dunque in realtà è l’art. 10 Cost. che disciplina l’ingresso nell’ordinamento interno delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, mentre l’art. 11 Cost. casomai, è uno dei paletti esistenti all’ingresso delle stesse, in ossequio al principio dell’appartenenza della sovranità popolare di cui all’art. 1 Cost.

A questo punto prima di esaminare l’esatta portata del contenuto dell’art. 11 Cost. occorre preliminarmente ricordale quali siano gli elementi fondanti, e dunque assolutamente irrinunciabili, di uno Stato.

Esso, per esistere, deve avere contemporaneamente un popolo, un territorio e il potere d’imperio di quel popolo sul suo territorio, appunto la sovranità.

In una democrazia come la nostra tale potere d’imperio è stato attribuito al popolo, che ovviamente lo esercita nelle forme (democrazia rappresentativa) e nei limiti della Costituzione. Il voto dunque è lo strumento ultimo con cui si esercita il diritto plurisoggettivo alla sovranità.

Il potere d’imperio, ergo la sovranità, del popolo italiano sul proprio territorio non può essere ceduto e anche la limitazione di esso è soggetta a limiti ben precisi, appunto quelli del citato art. 11 Cost., che anche la suindicata giurisprudenza ha specificato con chiarezza. Parliamo di ciò che viene conosciuto con il termine di “controlimiti” all’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento.

Dunque i principi fondamentali sono un paletto concreto ed invalicabile, proprio in virtù della definitività della forma Repubblicana dello Stato, all’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento.

L’appartenenza della sovranità al popolo, principio “fondamentalissimo” (su questo si dirà più approfonditamente nel secondo motivo di censura alla sentenza d’appello posto che la Corte si è spinta addirittura fino a negare la natura inviolabile di tale diritto), dunque è la regola generale mentre la sua limitazione è l’eccezione che va adeguatamente circoscritta.

E’ tale l’attenzione dell’ordinamento circa la difesa della sovranità che, sia la sua cessione, che la limitazione oltre i “controlimiti” costituzionali, sono addirittura comportamenti costituenti pacificamente reato ex artt. 243 c.p. come meglio si specificherà infra nel presente motivo di gravame.

Appare normale se non addirittura scontato che uno Stato abbia disciplinato quale gravissimo delitto ogni azione diretta a minarne la personalità giuridica, ovvero ogni azione diretta a minare la sua stessa esistenza come entità sovrana ed indipendente.

Si può osservare che fin dalla piana lettura della relazione preparatoria al progetto di Costituzione dell’On. Mauccio Ruini la ratio dell’attuale art. 11 Cost. è ben inquadrata, parliamo dunque di interpretazione autentica della norma.

Testualmente: “l’Italia è uno Stato indipendente e libero, l’Italia non consente, in linea di principio altre limitazioni della sovranità, ma si dichiara pronta, in condizioni di reciprocità e di uguaglianza, a quelle necessarie per organizzare la solidarietà e la giusta pace tra i popoli”.

La sovranità interna del Paese è incondizionata ed incondizionabile, le limitazioni sono possibili solo a fini di pace ed in condizione di reciprocità. Tutto questo era concepito per l’ONU e non per mettere fine alla Repubblica Italiana aderendo ad un’Europa unita o federale.

Infatti cedere sovranità per costituire un nuovo Stato significa sic et simpliciter mettere fine alla Repubblica Italiana ma la definitività della sua forma sancita ex art. 139 Cost. lo impedisce.

Addirittura in abbondanza si rammenta che l’On. Lussu il 24 gennaio 1947 propose uno specifico emendamento all’art. 11 Cost. proprio per aprire almeno all’Europa federale, l’emendamento fu votato e respinto.

L’On. Calamandrei in persona, circa la definitività della forma Repubblicana, ricordò sempre durante le sedute della Costituente che l’art. 139 Cost. era un passo perentorio, ammonendo tutti, forse anche perché non perfettamente d’accordo, che approvata tale norma nulla avrebbe più potuto essere modificato nei principi fondamentali della Carta, neppure se la maggioranza del Paese lo avesse voluto.

Che piaccia o meno l’Italia, intesa come Stato sovrano ovviamente, è costituzionalmente eterna, tentare di cancellarla è sic et simpliciter un atto eversivo.

Alla luce del dato testuale dell’art. 11 Cost. e della sua interpretazione autentica dunque la sovranità non può essere ceduta e gli stessi limiti devono riguardare solo un preciso scopo, la pace.

Non si deve incorrere nell’errore di considerare i termini di cessione e limitazione della sovranità come due sinonimi.

Prendendo qualsiasi dizionario si nota immediatamente che limitare significa contenersi e nel caso di uno Stato dunque contenere un proprio potere d’imperio, omettere il suo pieno esercizio che resta però sotto il totale controllo del proprio Parlamento. Cedere invece assume un significato quasi opposto, quello di chinarsi, arrendersi, prostrarsi o appunto se si parla di Stato trasferire a titolo definitivo un proprio potere d’imperio.

Un esempio banale di uso comune di questi termini?

Se stipulo un trattato diretto a ridurre le emissioni inquinanti limito la mia sovranità che resta contenuta nel suo esercizio ma perfettamente conservata per un motivo, tra l’altro, che certamente attiene alla pace e alla giustizia, posto che gli effetti dell’inquinamento travalicano i confini nazionali.

Se invece sottoscrivessi un trattato in cui, sempre al fine di ridurre le emissioni inquinanti, cedessi la sovranità industriale del Paese ad un terzo soggetto o ad un’autorità indipendente (per parafrasare quanto fatto in tema monetario ed economico), allora si sarebbe compiuta una cessione dei sovranità e dunque un atto illecito.

Consegnare il potere d’imperio del popolo italiano su materie fondamentali a titolo definitivo ad un ordinamento sovranazionale implica automaticamente la cessione della nostra sovranità.

L’art. 3 TFUE disciplina come detto espressamente le materie in cui la sovranità è stata ceduta con competenza esclusiva in capo a Bruxelles.

Tale azione costituisce una illecita compressione del diritto plurisoggettivo alla sovranità dell’esponente, che si esercita per tramite il diritto di voto.

Assegnare competenza esclusiva all’UE in determinate materie significa cedere sovranità, perché su di esse il popolo italiano non ha più alcuna voce in capitolo.

Da qui discende l’interesse giuridico in capo ad ogni cittadino di agire in giudizio anche per la sola eliminazione della situazione lesiva in essere, ottenibile attraverso la declaratoria di incostituzionalità delle leggi di ratifica dei trattati internazionali che hanno soppresso la sovranità nazionale.

L’eventuale risarcimento del danno è completamente irrilevante seppur richiesto, ciò che conta in primis è la rimozione della situazione lesiva causata dall’illecito commesso con la ratifica dei trattati di cui si dibatte che passa necessariamente per la rimessione in Corte Costituzionale della questione inerente alla (il)legittimità della ratifica di trattati che comportano la cessione della sovranità nazionale.

Il ragionamento fatto per la sovranità in tema di politiche monetarie vale parimenti per la connessa sovranità economica ceduta in forza del protocollo 12 allegato al TFUE e in forza del successivo trattato cd. “fiscal compact” (legge n. 114/2012) che ha poi determinato, in sua esecuzione, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione (L. Cost. n. 1/2012). La connessione è legata al fatto che i vincoli citati valgono proprio per gli Stati che hanno aderito all’euro e che non hanno dunque più la facoltà di prendere in materia decisioni sovrane ed autonome non potendo appunto legiferare in materia ex artt 2 e 3 TFUE..

La governance economica UE è disciplinata dal protocollo n. 12 allegato al Tratatto di Maastricht e poi riconfermata, immutata, con il Tratatto di Lisbona e parte integrante del TFUE.

Il protocollo specifica il contenuto dell’art. 126 TFUE ex art. 104 TCE che testualmente dispone:Gli stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. La Commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti: a) se il rapporto tra disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che: -il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento, -oppure in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento; b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato. I valori di riferimento sono specificati nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato ai trattati. 3. Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione. La relazione della Commissione tiene conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro. La Commissione può inoltre preparare una relazione se ritiene che in un determinato Stato membro, malgrado i criteri siano rispettati, sussista il rischio di un disavanzo eccessivo. 4. Il comitato economico e finanziario formula un parere in merito alla relazione della Commissione. 5. La Commissione, se ritiene che in uno Stato membro esista o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo, trasmette un parere allo Stato membro interessato e ne informa il Consiglio. 6. Il Consiglio, su proposta della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato membro interessato ritenga di formulare, decide, dopo una valutazione globale, se esiste un disavanzo eccessivo. 7. Se, ai sensi del paragrafo 6, decide che esiste un disavanzo eccessivo, il Consiglio adotta senza indebito ritardo, su raccomandazione della Commissione, le raccomandazioni allo Stato membro in questione al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo. Fatto salvo il disposto del paragrafo 8, dette raccomandazioni non sono rese pubbliche. 8. Il Consiglio, qualora determini che nel periodo prestabilito non sia stato dato seguito effettivo alle sue raccomandazioni, può rendere pubbliche dette raccomandazioni. C 83/100 Gazzetta ufficiale dell IT ’Unione europea 30.3.2010 100 Trattati consolidati 9. Qualora uno Stato membro persista nel disattendere le raccomandazioni del Consiglio, quest’ultimo può decidere di intimare allo Stato membro di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessaria per correggere la situazione. In tal caso il Consiglio può chiedere allo Stato membro in questione di presentare relazioni secondo un calendario preciso, al fine di esaminare gli sforzi compiuti da detto Stato membro per rimediare alla situazione. 10. I diritti di esperire le azioni di cui agli articoli 258 e 259 non possono essere esercitati nel quadro dei paragrafi da 1 a 9 del presente articolo. 11. Fintantoché uno Stato membro non ottempera ad una decisione presa in conformità del paragrafo 9, il Consiglio può decidere di applicare o, a seconda dei casi, di rafforzare una o più delle seguenti misure: — chiedere che lo Stato membro interessato pubblichi informazioni supplementari, che saranno specificate dal Consiglio, prima dell’emissione di obbligazioni o altri titoli, — invitare la Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la sua politica di prestiti verso lo Stato membro in questione, — richiedere che lo Stato membro in questione costituisca un deposito infruttifero di importo adeguato presso l’Unione, fino a quando, a parere del Consiglio, il disavanzo eccessivo non sia stato corretto, — infliggere ammende di entità adeguata. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo delle decisioni adottate. 12. Il Consiglio abroga alcune o tutte le decisioni o raccomandazioni di cui ai paragrafi da 6 a 9 e 11 nella misura in cui ritiene che il disavanzo eccessivo nello Stato membro in questione sia stato corretto. Se precedentemente aveva reso pubbliche le sue raccomandazioni, il Consiglio dichiara pubblicamente, non appena sia stata abrogata la decisione di cui al paragrafo 8, che non esiste più un disavanzo eccessivo nello Stato membro in questione. 13. Nell’adottare le decisioni o raccomandazioni di cui ai paragrafi 8, 9, 11 e 12, il Consiglio delibera su raccomandazione della Commissione. Nell’adottare le misure di cui ai paragrafi da 6 a 9, 11 e 12, il Consiglio delibera senza tener conto del voto del membro del Consiglio che rappresenta lo Stato membro in questione. Per maggioranza qualificata degli altri membri del Consiglio s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera a). 14. Ulteriori disposizioni concernenti l’attuazione della procedura descritta nel presente articolo sono precisate nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato ai trattati. 30.3.2010 Gazzetta ufficiale dell IT ’Unione europea C 83/101 Versione consolidata del trattato sul funzionamento dell’Unione europea 101 Il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, adotta le opportune disposizioni che sostituiscono detto protocollo. Fatte salve le altre disposizioni del presente paragrafo, il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, precisa le modalità e le definizioni per l’applicazione delle disposizioni di detto protocollo”.

Trattasi di un evidente commissariamento permanente del Paese che qualora si discosti dai parametri imposti dall’UE subisce via via sanzioni più pesanti. Non esiste eccezione all’obbedienza per una nazione che ha ceduto sovranità.

Al netto di ciò che si pensi sul deficit e debito, inutile spiegare in questa sede le basi della macroeconomia Keynesiana e l’assurdità (e incostituzionalità) delle opposte tesi neoliberiste la cui disamina ci porterebbe troppo fuori tema, e su ciò che si pensi dell’indispensabilità delle politiche di deficit per accrescere la ricchezza del settore privato, il fatto che il Parlamento italiano non abbia più sovranità economica è evidente.

Nel protocollo n. 12 intitolato “delle procedure di disavanzo eccesivo” sono appunto codificati i parametri di deficit da rispettare:

Articolo 1 – I valori di riferimento di cui all’articolo 126, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea sono: il 3% per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato, — il 60% per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato”.

In materia la sovranità è stata radicalmente ceduta, addirittura il paese si è subordinato, come detto, “al vincolo esterno” che arriva al commissariamento con imposizioni di sanzioni in caso di mancata ottemperanza agli ordini della commissione.

Dunque lo Stato non può, neppure se il popolo lo volesse, emettere moneta e tantomeno potrebbe ricorrere ai mercati liberamente per finanziarsi anche se gli stessi fossero disponibili a farlo.

La situazione è poi peggiorata con il cd. fiscal compact e con l’inserimento del pareggio in bilancio in Costituzione con cui il “vincolo esterno” è diventato un “vincolo interno” all’ordinamento. Vincolo giuridicamente concepito proprio per tentare di difendersi da una causa come quella che ha posto in essere l’esponente ed in generale per rendere più complicato, anche politicamente, l’abbandono di euro ed Unione europea.

I limiti al deficit diventano con esso più stringenti ed i poteri sanzionatori delle autorità europee vengono incrementati.

L’art. 3 del Trattato è assolutamente eloquente: “1. Le parti contraenti applicano le regole enunciate nel presente paragrafo in aggiunta e fatti salvi i loro obblighi ai sensi del diritto dell’Unione europea:

a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo;

b) la regola di cui alla lettera a) si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all’obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Le parti contraenti assicurano la rapida convergenza verso il loro rispettivo obiettivo di medio termine. Il quadro temporale per tale convergenza sarà proposto dalla Commissione europea tenendo conto dei rischi specifici del paese sul piano della sostenibilità. I progressi verso l’obiettivo di medio termine e il rispetto di tale obiettivo sono valutati globalmente, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con il patto di stabilità e crescita rivisto;

c) le parti contraenti possono deviare temporaneamente dal loro rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze eccezionali, come definito al paragrafo 3, lettera b);

d) quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è significativamente inferiore al 60% e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche sono bassi, il limite inferiore per l’obiettivo di medio termine di cui alla lettera b) può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dell’1,0% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;

e) qualora si constatino deviazioni significative dall’obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo, è attivato automaticamente un meccanismo di correzione. Tale meccanismo include l’obbligo della parte contraente interessata di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito”.

L’art. 5 Cost. conferma poi la fine della sovranità italiana in materia economica: “1. La parte contraente che sia soggetta a procedura per i disavanzi eccessivi ai sensi dei trattati su cui si fonda l’Unione europea predispone un programma di partenariato economico e di bilancio che comprenda una descrizione dettagliata delle riforme strutturali da definire e attuare per una correzione effettiva e duratura del suo disavanzo eccessivo (si noti che con questo Trattato tutti il disavanzo è eccessivo perché occorre la parità o l’attivo di bilancio n.d.s.). II contenuto e il formato di tali programmi sono definiti nel diritto dell’Unione europea”.

Ed ancora la norma chiaramente ci impone il “vincolo esterno” con tale sconcertante precisazione: La loro presentazione al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea per approvazione e il loro monitoraggio avranno luogo nel contesto delle procedure di sorveglianza attualmente previste dal patto di stabilità e crescita.

2. Spetterà al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea monitorare l’attuazione del programma di partenariato economico e di bilancio e dei piani di bilancio annuali ad esso conformi”.

Con buona pace della sovranità popolare…

Come si rammenterà si è poi parlato di un illecito penale che scaturirebbe dalla cessione compiuta della sovranità nazionale. Nel caso di specie si assume in particolare violato, in forza della ratifica delle leggi citate, l’art. 243 c.p.

L’art. 243 c.p. punisce: “Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se la guerra segue, si applica la pena di morte; se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo”.

Il verificarsi dell’evento bellico non è elemento necessariamente richiesto per la consumazione del reato in parola per il quale è sufficiente l’avvenuta intelligenza con lo straniero a tale fine o, per quanto qui interessa davvero, al fine di compiere anche altri atti altrimenti ostili alla nazione.

Dunque paliamo di atti diversi dalla guerra che comunque ledono la personalità giuridica dello Stato.

Ecco il collegamento quindi con la fattispecie in esame.

Tenere “intelligenze” significa semplicemente stringere un accordo con lo straniero, accordo che ai fini del reato in parola può anche essere assolutamente palese e non già occulto.

La stipula di un trattato internazionale è pacificamente un atto d’intelligenza con lo straniero la sua legittimità o meno quindi dipende dal contenuto dell’accordo.

La qualificazione giuridica apparentemente meno immediata è infatti quella che definisce appunto il concetto di “atto ostile diverso dalla guerra”.

Per comprendere il senso del termine basta ricordare il capo del codice penale in cui il reato è inserito, ovvero quello che mira appunto a tutelare la già citata personalità giuridica dello Stato.

Atti di ostilità dunque altro non sono che tutte le azioni d’inimicizia diverse dalla guerra stessa, che risultino parimenti dannose della personalità giuridica del Paese, anche qualora non coercitive o non violente.

Se la violenza invece fosse ravvisata, troverebbe applicazione il diverso delitto di cui all’art. 241 c.p. così come emendato nel 2006.

L’ordinamento democratico della Repubblica italiana si basa ovviamente sulla nostra Costituzione, che all’articolo 1 attribuisce espressamente la sovranità al popolo.

Tale passaggio costituisce l’essenza di una democrazia nel senso proprio del termine.

La sovranità dunque è elevata a diritto, necessariamente plurisoggettivo, fondamentale dell’ordinamento.

Un atto d’intelligenza con lo straniero che comporta la sottrazione della sovranità e dell’indipendenza nazionale deve necessariamente qualificarsi come “atto ostile” a quel bene giuridico che si può definire personalità dello Stato Italiano, al suo potere d’imperio.

Ogni evento bellico è per sua definizione il tentativo di sottomettere un altro Stato menomandone proprio la sua sovranità e la sua indipendenza.

Infatti in caso di invasione armata lo Stato certamente non perde il territorio, che geograficamente rimane. Non perde neppure il popolo, che nonostante i morti conseguenti ad una guerra, non si estingue completamente.

Uno Stato invaso perde invece il potere d’imperio, ovvero la sovranità del suo popolo sul suo territorio.

Pertanto se vieti al Parlamento italiano di legiferare in materie su cui ha ceduto la propria sovranità (artt. 2 e 3 TFUE) si rientra, ad avviso di chi scrive, pienamente nel campo di applicazione della fattispecie penale.

Con buona pace dunque per il ragionamento della Corte d’Appello di Genova che è arrivata a negare la configurabilità di un illecito nell’azione del legislatore, qui non solo l’illecito assunto è l’illegittimità delle norme con cui si sono ratificate le cessioni di sovranità in violazione del precetto dell’art. 11 Cost., ma addirittura l’illecito avrebbe carattere penale in base al citato 243 c.p. norma posta appunto in difesa della sovranità stessa.

Atto ostile, giuridicamente ostile ai fini penali, è pertanto semplicemente ciò che contrasta con la personalità giuridica dello Stato menomandone indipendenza e potere d’imperio.

Ergo il carattere ostile di un atto è in re ipsa nella cessione di sovranità compiuta in violazione di principi fondamentali della nostra costituzione indipendentemente dal fatto che si possa pensare o meno che tale cessione migliorerà la qualità della vita nel nostro paese.

* * *

II) SECONDO MOTIVO: violazione di legge ex art. 360, comma 1° n.3 con specifico riferimento all’art. 2 Cost. laddove si è escluso che il diritto plurisoggettivo alla sovranità attenga ai diritti inviolabili dell’uomo così negando la possibilità di agire in giudizio anche per la mera rimozione della situazione lesiva in essere determinata dalle illecite cessioni di sovranità compiute attraverso i trattati internazionali di cui si dibatte.

Con il secondo motivo d’appello posto all’esame della Corte d’Appello di Genova si è richiesta la riforma della sentenza del Tribunale laddove ha ritenuto che il diritto di sovranità che si esercita per tramite l’esercizio del diritto di voto non sarebbe un diritto inviolabile della persona.

Come già detto nell’atto d’appello non è esagerato sostenere che il riportato passaggio motivazionale – per le conseguenze che ne derivano – rappresenti un tipico esempio di “precomprensione”, ovvero di anticipazione pregiudiziale del senso delle norme, “…discendendo da un condizionamento politico, psicologico, sociale – inteso come riflesso degli assetti dominanti sulle “ragioni del comprendere del singolo interprete”; come tale, la precomprensione dissimula “operazioni apparentemente logiche ma viziate, più o meno inconsciamente, da pregiudizi e presupposti che, pur personali, sono spesso il recepimento acritico di un “comune sentire” proprio delle forze sociali dominanti; essa perciò può condurre a interpretazioni che “vulnerano” la giustizia, l’equità … la verità dinamica la cui ricerca dà senso al diritto”.

La Costituzione italiana, com’è noto (o come dovrebbe esserlo), nel sancire che l’Italia è una Repubblica “democratica” fondata sul lavoro”, attribuisce il massimo rilievo al principio della sovranità popolare (art. 1).
All’accoglimento del principio della sovranità popolare – nell’ambito di un sistema di democrazia rappresentativa come quella italiana – non poteva che accompagnarsi come corollario naturale l’elettorato attivo, come diritto spettante a ciascun cittadino quale titolare di una “particella di sovranità” (secondo la nota formulazione rousseauiana) di concorrere alla vita repubblicana.

Il collegamento diretto e necessario tra sovranità popolare e diritto di voto (come modo imprescindibile di esercizio della prima) emerge in modo inconfutabile dai lavori della Costituente.

Già la Relazione al Progetto di Costituzione presentata alla Presidenza dell’Assemblea il 6 febbraio 1947, nell’avvertire che “Non si comprende una costituzione democratica, se non si richiama alla fonte della sovranità, che risiede nel popolo: tutti i poteri emanano dal popolo e sono esercitati nelle forme e nei limiti della costituzione e delle leggi”, riportava quanto segue “Deve bensì rimanere fermissimo il principio della sovranità popolare. Cadute le combinazioni ottocentesche con la sovranità regia, la sovranità spetta tutta al popolo” con l’importante precisazione che “…La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e nel referendum…”.

Come sia possibile considerare un simile assetto come compatibile ad esempio con la già citata indipendenza della banca centrale (art. 130 TFUE) sulle gestioni delle politiche monetarie non è dato oggettivamente sapere.

Nelle varie sedute della Seconda Sottocommissione che avrebbero portato alla scrittura dell’attuale art. 48 Cost., il tema dello stretto legame tra diritto di voto e sovranità viene affrontato a più riprese dai Costituenti.

Nella seduta del 12 settembre 1946, l’on. Conti, quale Presidente vicario, comunicava che “…dai contatti presi con la prima Sottocommissione per conoscere come questa abbia trattato la questione dell’elettorato attivo e del suffragio popolare, è risultato che essa non ha ancora preso in merito alcuna decisione. In una relazione dell’onorevole Basso sui principî dei diritti politici si propone, tra l’altro, l’approvazione di un articolo 1 del seguente tenore:
La sovranità popolare si esercita attraverso la elezione degli organi costituzionali dello Stato, mediante suffragio universale, libero, segreto, personale ed eguale. Tutti i cittadini concorrono all’esercizio di questo diritto tranne coloro che ne sono legalmente privati o che volontariamente non esercitino un’attività produttiva”.

Preoccupazione esternata ancor prima dall’on. Lussu il quale, nella seduta del 10 settembre 1946, faceva presente che “allorché si tratterà di compilare il testo definitivo… la Costituzione dovrebbe contenere anzitutto un accenno alla sovranità popolare”.

Nella seduta del 19 maggio 1947, l’on. Caristia affermava a sua volta “Democrazia e repubblica sono i pilastri della nuova Costituzione, e la democrazia, nel suo aspetto politico, ch’è quello sostanzialesi attua attraverso il godimento e l’esercizio del diritto elettorale attivo…”.

Nella seduta del 20 maggio 1947 l’on. Piemonte aveva altresì modo di ribadire che “l’espressione del voto politico è un atto di sovranità”, mentre nella seduta del giorno successivo l’on. Canepa spiegava chiaramente che il cittadino partecipa alla sovranità “coll’esercizio del voto”.
La ragione per cui nella redazione dell’attuale art. 48 Cost. non si fece poi accenno alla sovranità è ricavabile dalle parole dell’on. Tosato il quale, concordando con il presidente Terracini, affermava che “… quando si dice che sono eleggibili e sono elettori tutti i cittadini, ecc., è implicito in ciò il principio della sovranità popolare…”.

Se le parole dei Costituenti hanno ancora un minimo di senso compiuto, nonostante i cupi tempi in cui viviamo, dalle stesse si ricava che l’elettorato attivo costituisce il diritto di ogni cittadino di concorrere col voto alla formazione della volontà nazionale, il diritto di esercitare attraverso il voto la propria parte di sovranità.
Tale diritto previsto dall’art. 48 Cost. è perciò annoverato dalla dottrina nella categoria dei “diritti soggettivi pubblici” e, più specificamente, costituisce uno ius activae civitatis che vede, cioè, il cittadino titolare di una pretesa a partecipare alle elezioni degli organi rappresentativi dello Stato nonché a votare nei vari referendum, una posizione giuridica soggettiva garantita nei confronti dello stesso legislatore.

Non può parlarsi, in definitiva, di “sovranità” democratica senza il diritto soggettivo assicurato ad ogni cittadino di poterla esercitare in concreto.

E la sovranità si esercita in concreto, almeno in fase iniziale, mediante il voto.

Ripristinare la legalità del diritto di voto, in assenza di una sovranità popolare ormai svuotata di ogni contenuto, perché la sovranità è stata previamente ceduta ad organismi sovranazionali, è stato completamente inutile.

L’articolo 1, in tal senso, assurge per Mortati a “supernorma” poiché i suoi “principi generalissimi” imprimono un “preciso contenuto” normativo…potenziato” e perché fornisce “il supremo criterio interpretativo di tutte le altre disposizioni”; ciò in quanto la titolarità del potere supremo della sovranità democratica “…si pone come logico fondamento dell’ordine…”.Non esiste quindi nell’ordinamento, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di promo grado diritto più supremo ed inviolabile di questo.
Per essere ancora più chiari: la Costituzione attribuisce al popolo soprattutto l’esercizio della sovranità e l’esercizio della sovranità “praticamente è tutto; in assenza di concreto esercizio, la sua titolarità è “nulla.

Stessi principi sono stati peraltro ribaditi dalla stessa Consulta la quale, sul punto, non poteva che affermare come “…la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto … costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”.

Bisogna però precisare, come accennato, che l’esercizio della sovranità mediante l’elettorato attivo va ben oltre al “solo potere di votare, dal momento che le modalità del voto tutelano l’esercizio continuo della sovranità dello Stato democratico,

“… nel quale la democrazia ha un carattere di massa e permanentenel senso che non si esaurisce nel semplice atto elettorale: il suo esercizio del potere, infatti, non è puramente fittizio, limitato alla scelta delle persone che eserciteranno il potere per conto del popolo e, in ultima analisi, sul popolo, ma è un esercizio del potere continuo…”.
Lo stesso Gramsci in tal senso aveva già avuto modo di spiegare bene come “… il consenso non ha nel momento del voto una fase terminale, tutt’altro. Il consenso è supposto permanentemente attivo chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli [programmi di lavori], a essere cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsabile. L’elemento «volontariato» nell’iniziativa non potrebbe essere stimolato in altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati, si può intendere l’importanza che la manifestazione del voto può avere…”.

Considerata la sovranità democratica in senso dispiegatamente dinamico “innescata” mediante il momento iniziale e fondamentale del voto, essa è così in grado di conformare i comportamenti dei cittadini (sovrani) i quali – in quanto popolo “sempre nell’esercizio delle proprie funzioni” – sono in grado di determinare in concreto la politica nazionale (art. 49 Cost.), partecipare alla vita del paese (art. 3 Cost.), concorrere al progresso materiale e morale di quest’ultimo (art. 4 Cost.), amministrare la giustizia (art. 101 Cost.), insomma realizzare nella sostanza – attraverso i plessi Parlamento e Governo (la “Repubblica”) diretta emanazione del popolo sovrano – quella democrazia “necessitata” del lavoro, pluriclasse e redistributiva costituente il programma ultimo ed irrinunciabile che innerva tutto l’impianto della nostra Carta Costituzionale.

Si può conseguentemente ribadire che impedire o limitare in modo certo e diretto l’art. 1 Cost. (appunto supremo principio di sovranità popolare) significa altresì vulnerare a cascata tutti gli altri principi contenuti nei successivi undici articoli della Costituzione (c.d. principi fondamentalissimi). Appunto la citata emergenza covid è un esempio eclatante di quanto si scrive.

Infatti, se la sovranità “è praticamente tutto” e se la stessa “si pone come logico fondamento dell’ordine”, violare il fondamento decreta logicamente lo sconvolgimento, o meglio, la dissoluzione dell’ordine stesso (sub specie azzeramento della sovranità). Il senso della frase “la sovranità è tutto” ci dice più semplicemente che la stessa costituisce l’alfa e l’omega della democrazia costituzionale.

Leggere quindi che il diritto plurisoggettivo di sovranità non è da considerarsi fondamentale in una sentenza è davvero qualcosa di oggettivamente inconcebile, vedere l’assunto addirittura reiterato anche in quella di secondo grado lascia addirittura senza parole.

Se è chiaro quanto detto, appare a dir poco cavilloso e formalistico affermare – basandosi semplicemente “sulla letteradell’art. 2 Cost., come ha fatto il Tribunale di Genova che la lesione del diritto di sovranità di cui all’art. 1 Cost. non possa essere ricompreso tra i diritti inviolabili (rectius, fondamentali).
Una statuizione di tal fatta denuncia in modo allarmante la mancanza di una visione sistematica ed organica dell’ordito costituzionale così come concepito dai Costituenti.

Ed invero, bisogna ribadire con forza che se l’art. 48 Cost. costituisce una “proiezione” del principio fondamentalissimo di “sovranità popolare” contenuto nell’art. 1 (e che sia così non dovrebbe a questo punto esservi dubbio), la sua violazione comporta in re ipsa non solo la violazione dell’art. 2 Cost., ma anche di tutti gli altri articoli e principi fondamentali a seguire.

Quanto poc’anzi esposto è stato illustrato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, allorché la stessa ha affrontato, con la sentenza n. 120/1967, il problema del riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti. Secondo la Corte, se gli artt. 2 e 3 Cost. si applicano indipendentemente dallo status di cittadino (“…l’art. 2 riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti in violabili dell’uomo”) e se innegabile che “l’art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratti di rispettare quei diritti fondamentali”.

Tuttavia, non tutti i diritti riconosciuti dalla Costituzione sono da ritenere in modo indistinto attribuiti a cittadini e stranieri: i “diritti inviolabili della persona” ai quali si riferisce la sent. n. 120/1967 costituiscono, infatti, secondo la Corte (cfr. sent. n. 104/1969), “un minus rispetto ai diritti di libertà riconosciuti al cittadino”.

Ed infatti, “…la riconosciuta uguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità di diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non la razionalità del suo apprezzamento”, con particolare riferimento alla “basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero, consistente nella circostanze che mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo” (così Corte Cost. sent. n. 104/1969).
Tradotto in termini più semplici: il diritto di voto, seppur fondamentale ed inviolabile, non può essere riconosciuto erga omnes, ma solo ai cittadini. Verrebbe da aggiungere, ed è questo ciò che interessa in questa sede, “perché solo ai cittadini appartiene la sovranità”.

In definitiva, e di contro a quanto erroneamente sostenuto dal Tribunale di Genova e dalla Corte d’Appello poi, l’attribuzione della qualifica dell’inviolabilità ai diritti politici” (nel caso, il diritto di sovranità ex art. 1 che si esercita ex art. 48 Cost.), lungi dall’essere “controversa”, non potrebbe essere invece più pacifica. 
Ciò che suscita fortissime perplessità, non è solo la circostanza per cui il giudice di merito – mediante una interpretazione del tutto fuorviante – abbia negato al diritto di sovranità la qualifica di “inviolabilità”, ma ancor prima il fatto che non si sia nemmeno sforzato di recuperarne, a monte, quantomeno la valenza stessa di diritto soggettivo.

Indiscutibile quindi che le leggi di ratifica dei trattati oggetto del contendere con cui sono state ratificate illecite cessioni di sovranità debbano essere sottoposte all’attenzione della Corte Costituzionale.

* * *

Per tutti i sopra esposti motivi il ricorrente come in epigrafe rappresentato e difeso

CHIEDE

che codesta Corte Ecc.ma Voglia cassare l’impugnata sentenza con ogni consequenziale provvedimento e con vittoria di spese e competenze del giudizio.

Si allegano:

  1. Ricorso notificato;

  2. Sentenza impugnata;

  3. Provvedimento di correzione materiale della sentenza.

Si dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al presente giudizio ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 51 D.L. 122/2008, convertito in L. 133/2008, all’indirizzo di posta elettronica certificata: studiolegale.sottile@pec.giuffre.it

Ai fini della normativa sul contributo unificato – d.p.r. 115/2002 successive modificazioni – Ai sensi dell’art. 9 comma 5 L.466/88 si dichiara che il valore della causa è inferiore ad € 5.100,00 pertanto il contributo unificato da versare è pari ad € 196,00.

Nota finale: il presente ricorso è stato redatto in conformità alle indicazioni tecniche contenute nel protocollo sottoscritto in data 17.12.2015 dal Presidente della Corte di Cassazione e dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense.

Barcellona Pozzo di Gotto, 24 maggio 2021

Avv. Giuseppe Sottile          Avv. Marco Mori