Giu 28

Uscita dall’euro: come attuarla e come costruire il consenso necessario per portarla a termine.

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In questi giorni la difesa d’ufficio che ho sentito per i miei attacchi alla “nuova gestione” della Lega Nord è stata molto interessante e consente di aprire un dibattito più profondo e soprattutto più tecnico. Intanto per chi non avesse seguito, quando parlo di Lega Nord “nuova gestione” intendo la recente inversione ad “U” del partito su euro ed UE.

Siamo infatti passati dal “basta euro”, che condividevo in quasi tutti i punti base, ad un più istituzionale “non siamo qui per ribaltare il tavolo, ma per ridiscutere i trattati”. L’euroexit diventa dunque una proposta provocatoria e meramente strumentale all’ottenimento del vero obiettivo del partito: nuovi accordi internazionali. Concetto specificato di recente anche dal vice segretario del partito in una conferenza e ribadito da Matteo Salvini in persona.

Questa posizione, più moderata, a dire dei difensori del partito consentirebbe alleanze più ampie (vedi Forza Italia) e prometterebbe di non spaventare l’elettore raggiungendo quella maggioranza necessaria a governare. L’osservazione è calzante e coglie nel segno. Ovvero effettivamente può essere una strategia corretta per arrivare a vincere alle prossime elezioni, di certo non posso negare questo aspetto, sarebbe disonesto sotto il profilo intellettuale.

Ma c’è un obiezione gigantesca e dirimente da fare a questa linea, che porta con se la pressoché matematica certezza di fare della Lega Nord la Syrizia italiana. In sostanza sembra che gli “esperti” del centro destra, che forse così esperti poi non sono, si siano dimenticati di quanto sarà necessario fare per uscire dall’euro e di quanto sarà indispensabile un fortissimo consenso politico per attuare quelle misure aggiuntive assolutamente indispensabili ad un exit di successo.

Mi spiego. Immaginiamo cosa avverrebbe dopo un’ipotetica vittoria del centro destra in assetto “battipugnista” verso Bruxelles. Il nostro Presidente del Consiglio, assieme al Ministro delle Finanze, andranno in UE e diranno più o meno questo: “signori i trattati si modificano o l’Italia esce”. Da domani vogliamo una Banca Centrale prestatrice di ultima istanza e la fine delle politiche di austerità, con conseguente attuazione di un piano immediato di spesa pubblica a deficit.

Bruxelles risponderà con un gigantesco “vaffanculo”, scusate il francesismo… Ma certamente non si limiterà alle parole passando all’immediata minaccia di ritorsioni violente in caso di mantenimento di questa posizione. Ma in cosa consisterà esattamente il ricatto? Lo abbiamo già visto con la crisi in Grecia, la situazione d’instabilità porterà ad una fuga di capitali e le banche si troveranno a corto di liquidità. A quel punto il Paese, invece che avere gli aiuti di emergenza da parte di BCE, subirà un taglio dei rifornimenti di moneta alle Banche nazionali con conseguente chiusura di filiali e sportelli automatici. Proprio come appunto accadde in Grecia durante i giorni dei negoziati in cui Tsipras e Varoufakis sembravano volessero spaccare il mondo. Tali minacce non suonano nuove neppure nei confronti dell’Italia, si pensi al tempo dell’avvento del governo Monti o ai giorni in cui il crimine del pareggio in bilancio fu inserito in Costituzione. In entrambi i casi il ricatto degli emissari della BCE fu, o fate quanto chiediamo oppure vi chiudiamo i rubinetti e non ci saranno più i soldi per pagare gli stipendi alla fine del mese, come dichiarato confessoriamente dal Senatore Garavaglia e dal Ministro Orlando.

Contemporaneamente la banca centrale cesserebbe anche l’acquisto dei nostri titoli di Stato, che neppure i mercati comprerebbero, con impennata consequenziale e repentina dei tassi d’interesse ed impossibilità, per uno Stato privo di sovranità monetaria, di finanziare la propria spesa. In questo quadro le opzioni sono due, si alza bandiera bianca o si dimostra a tutto il mondo cosa può fare davvero uno Stato sovrano, ma per farlo devi essere preparato e deciso. 

La Grecia si arrese perché in queste condizioni non puoi pagare pensioni e stipendi ai dipendenti pubblici, i privati si trovano con i propri soldi bloccati nelle banche e neppure riesci ad erogare gli stipendi delle forze dell’ordine e dell’esercito. Ergo il Capo di Stato di turno rischia ben più che perdere il posto, rischia una violenta insurrezione popolare dalla quale neppure è certo di uscire vivo. Questo è ciò che fece arrendere Tsipras, se ovviamente escludiamo l’ipotesi che fosse in malafede dall’inizio (ma allora sarebbe stato un attore da oscar).

Ma quindi che tipo di azioni si debbono compiere per uscire dall’euro? È possibile farlo senza un ampio consenso parlamentare e popolare? Risulta possibile farlo senza un piano operativo ed industriale già predisposto nei dettagli? Secondo voi, e rivolgo la domanda anche agli amici leghisti, gli elettori di chi diceva di voler rinegoziare i trattati senza spiegare che cosa andrà fatto in caso di fallimento dei negoziati e cosa accadrà in ogni caso già un secondo dopo averli iniziati, saranno disposti a seguire il governo in qualcosa di assolutamente non convenzionale e che nessuno gli aveva preventivato?

Qui casca l’asino. La posizione “battipugnista” non prepara il popolo all’eccezionale stato di emergenza che l’euroexit provocherà. Stato di emergenza che è certamente indispensabile vivere per mettere finalmente fine alla crisi, ma gli elettori oggi non lo sanno e non sopporteranno mai le conseguenze di una simile azione, perché ad esse non sono minimamente preparati psicologicamente.

Cosa va spiegato quindi al popolo? Altro che parlare alle pance per conquistare voti. Occorre dire già da oggi che l’exit sarà un fatto quasi militare, in cui lo Stato dovrà esercitare il suo assoluto potere d’imperio. La risposta alla chiusura delle banche sarà la loro immediata nazionalizzazione ed occupazione “fisica” di filiali e sportelli, con uso dell’esercito laddove necessario. Si opererà la riapertura forzata dei terminali con immediata riconversione in valuta nazionale di tutto il sistema (che peraltro andrebbe preparata tecnicamente prima, sia per quanto riguarda la moneta cartacea, che per quanto riguarda la moneta telematica). Dieci secondi dopo l’annuncio dell’exit la popolazione dovrà poter disporre pienamente del proprio denaro e lo Stato dovrà avere totale sovranità di spesa. A questo si aggiungerà il blocco di ogni fuga dei capitali ridenominati in valuta nazionale, con pene severissime per chi tentasse comunque di attuarle. Ma non è finita qui, vi è molto di più da fare.

Saranno necessarie immediate nazionalizzazioni su vasta scala delle industrie di interesse strategico, che dovranno poi attuare il preciso piano industriale, inizialmente fortemente autarchico in materia economica, che dovrà essere già predisposto prima dell’exit (la Lega dovrebbe in verità già averlo pronto, visto che ha aspirazioni di governo). Si dovrà sapere cosa produrre da un minuto dopo l’exit e come produrlo avendo a cuore il sostentamento del popolo come condizione prioritaria. Nella difficile fase dell’exit se mancasse denaro o mancassero generi di prima necessità sarebbe rivoluzione immediata, con il rischio di finire in un bagno di sangue. Condizione che un governo responsabile dovrà evitare con un piano predisposto nei minimi dettagli operativi prima dell’exit e spiegato nei dettagli con largo anticipo alla popolazione.

Se non si farà questo nei prossimi mesi, informazione dettagliata della popolazione compresa, e si tentasse comunque di uscire, è facile prevedere una catastrofe. Chi provasse a delocalizzare le proprie industrie nel post exit dovrà essere fermato immediatamente procedendo, se necessario, alla nazionalizzazione della propria attività. Parimenti andranno nazionalizzate le industrie di interesse strategico inopinatamente cedute in questi anni al capitale straniero. Le nazionalizzazioni avverranno nel rispetto del modello Costituzionale, ovvero ex art. 43 Cost., con equo indennizzo dell’espropriato da attuarsi con la nuova moneta nazionale.

I primi passi da fare dunque limiteranno fortemente la proprietà e la libertà economica, tutto questo avverrà per un periodo breve, ma certamente molto duro ed insuperabile senza il necessario consenso popolare, periodo che preluderà però ad una ripresa che sarà simile a quella di un razzo sulla rampa di lancio. Contemporaneamente a queste politiche lo Stato attuerà un massiccio piano di assunzioni nel pubblico, si assumerà fino alla piena occupazione, per poi ridurre naturalmente il personale pubblico alla ripresa del settore privato (conseguenza ovvia delle politiche espansive che incideranno sulla domanda di beni e servizi), che ovviamente sarà costretto a pagare di più dello Stato i dipendenti per acquisirli nelle proprie fila. In questi due/tre mesi di prevedibile assestamento la popolazione, ribadiamolo, dovrà sapere come agiremo, altrimenti sarà impossibile fare quanto necessario.

Dopo pochissimi anni dall’exit l’Italia sarà all’avanguardia in tutto, esattamente come è successo dopo la seconda guerra mondiale. Con la ricerca scientifica ed un piano industriale ormai privo da logiche di profitto raggiungeremo la totale autonomia energetica in piena compatibilità con l’ambiente, garantiremo ovviamente la piena occupazione ed il rispetto dei diritti fondamentali degli individui. Gradualmente si ritornerà ad una libertà di iniziativa economica sempre più accentuata in conformità con l’art. 41 Cost. ed in generale con il modello economico costituzionale.

Saranno però mantenute le condizioni che determineranno l’impossibilità materiale del ricostituirsi di quei poteri economici così eccessivamente grandi da imporre scelte politiche agli Stati, poteri che sono stati la causa unica della situazione di crisi in cui viviamo. Mai più multinazionali, mai più colpi di Stato finanziari, mai più guerre conseguenti alla povertà diffusa. Essere “grandi” oltre certe soglie diverrà giuridicamente impossibile perché lo Stato eserciterà il suo compito di disciplina e controllo del settore economico, mettendo al bando quella concezione liberale di cui già i Costituenti avevano specificato gli enormi pericoli e disfunzioni, considerandola superata completamente già a fine degli anni quaranta del secolo scorso.

Pensate ancora dopo questa, seppur succinta, descrizione su cosa andrà fatto che la fase di transizione dunque sia attuabile da chi diceva di voler rinegoziare i trattati? O dovete ammettere che quanto detto è possibile solo con un popolo che in larghissima maggioranza sa esattamente cosa andrà fatto e come lo faremo? Un popolo che deve sapere che siamo in guerra e che stavolta dobbiamo vincere. L’alternativa è la nostra distruzione, ergo la gente capirà. Ma va adeguatamente informata.

Litigai con Di Maio poco più di un anno fa per fargli capire questi concetti, litigo oggi con la Lega che ne ripercorre lo sciocco percorso. I bravi economisti sono indispensabili per uscire dal pantano, ma prima ancora servono i giuristi e gli statisti!  

Questa è la sola via d’uscita. Questo è ciò che la politica finge oggi di non capire, questo è ciò che avevo scritto già quasi due anni fa nell’ultimo capitolo del mio libro. Ora gradirei risposte…

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Avv. Marco Mori – Riscossa Italia, autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile on line su ibs.